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Italia, rimpatrio-lampo per nigeriana che ora rischia pena di morte a Lagos

Luglio 26
14:21 2010

Faith Ayworo avrebbe voluto chiedere asilo politico all’Italia. In patria, Lagos, Nigeria, un uomo anni fa l’aveva stuprata e lei per difendersi lo ha ucciso. Ora rischia la pena di morte, perché è stata rimpatriata troppo in fretta dopo una breve permanenza al Cie di Bologna. A denunciarlo è il suo avvocato, che punta il dito contro la Questura: non avrebbe dato alla 23enne africana né il tempo, né gli strumenti per chiedere asilo, calpestando ogni diritto e violando leggi internazionali. Faith è arrivata nella penisola italiana nel 2008. Una ventina di giorni fa, un altro nigeriano ha tentato di violentarla nell’appartamento di lei. I vicini di casa hanno chiamato i carabinieri: gli agenti, dopo aver verificato che su Faith pendevano due decreti di espulsione non ottemperati, l’hanno portata alla struttura di via Mattei. E mercoledì, nonostante il tentativo del suo avvocato, Alessandro Vitale, di ottenere un permesso di soggiorno per motivi di giustizia (avrebbe dovuto testimoniare per la recente aggressione) e di presentare richiesta di asilo politico (a cui avrebbe potuto avere diritto), è stata riportata dagli agenti a Lagos, dove è in attesa dell’impiccagione. Un rimpatrio arrivato ancor prima della decisione da parte del giudice sulla sospensiva, e senza che l’avvocato, avvisato all’ultimo del rischio che Faith corre in Nigeria, potesse trasmettere le informazioni alla Questura. La polizia sostiene che dalla banca dati Interpol non risulta nessun provvedimento di cattura nei confronti della ragazza e che quest’ultima, “serena e tranquilla” durante la permanenza al Cie non avrebbe “mai manifestato in alcun modo l’intenzione di chiedere la protezione internazionale”, né avrebbe raccontato a nessuno la vicenda dell’uccisione avvenuta nel tentativo di stupro. Inoltre, sarebbero state ravvisate firme mancanti nella richiesta di asilo presentata in extremis dal legale. Che ribatte: “Scuse pretestuose, per dare una spiegazione a un comportamento non corretto”. Quindi l’avvocato aggiunge: “Faith non parla minimamente l’italiano, tanto che per l’udienza di convalida al Cie c’è stato bisogno dell’interprete”, e dunque avrebbe fatto fatica a manifestare espressamente l’intenzione di rimanere Italia. Contestata poi anche l’argomentazione secondo cui nella banca dati Interpol non risultasse nessun provvedimento di cattura: “Il punto – incalza Vitale – è che non spetta a loro questa valutazione, lo deve fare una commissione ad hoc”. Intanto, la gara di solidarietà è partita. Il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) ha scritto all’ambasciatore italiano in Nigeria. Cgil, Cisl, Uil denunciano “una legge che non ha mai permesso a Faith di poter richiedere un regolare permesso di soggiorno” e chiedono alle istituzioni di attivarsi. In Nigeria nell’ultimo anno sono state giustiziate almeno 58 persone.

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