Io sono un italiano, un italiano…nero
Leggendo le cronache sportive, e non solo, delle ultime vicende della Nazionale di calcio, e gli altalenanti giudizi sulle glorie e sui disdori di Mario Balotelli, un ventunenne che ha dipinta sul volto tutta la rabbia ingoiata negli anni per gli insulti razzisti subiti da quelle stesse variegate tifoserie che oggi sono pronte a tingersi la faccia di nero e a calzare la cuffia con la cresta, non si può non pensare con amarezza a quanto il nostro Paese sia rimasto indietro
nello sviluppare una consapevolezza profonda di cosa voglia dire essere un “Cittadino della Repubblica Italiana”.
Qualche anno fa, mentre preparavo una puntata di un programma che conducevo su RAI3, ebbi una articolata discussione con i miei collaboratori sulla differenza tra xenofobia e razzismo. Era il 2001 e in Italia si stava cominciando ad incancrenire il problema della multietnicità della nostra società, come incancreniscono tutti i problemi affrontati senza visione prospettica e capacità di gestione propositiva. L’unica risposta che a quell’epoca si cominciava a dare al problema della convivenza di diverse etnie era, ed è rimasta a lungo purtroppo, quella della chiusura, dell’esclusione, del preconcetto rifiuto culturale nei confronti dei “non italiani”. Ebbene io sostenevo, e a ragione credo anche oggi, che il vero problema si sarebbe presentato quando la preclusione si sarebbe manifestata non verso i “non italiani” ma verso gli “italiani diversi”. Cercherò di esporre come la pensavo allora, e come a maggior ragione la vedo adesso che un ragazzo con la maglia azzurra della Nazionale Italiana di calcio ha dovuto passare attraverso tutte le stalle del nostro Paese prima di poter arrivare con gran fatica e rabbia alle stelle che merita, insultato, avvilito e offeso solo per il colore della pelle.
Se in una società compatta antropologicamente, come era quella italiana fino a qualche decennio fa, si insediano dei nuclei provenienti da culture tutt’affatto diverse, con usi e costumi eterogenei, lingua diversa, diversa religione, diverso abbigliamento, diversa cucina, diversi rapporti parentali, è normale che vengano vissuti con diffidenza e sospetto, fintanto che non cominci un rapporto di reciproca conoscenza. Allora, solo molto lentamente e con un processo aiutato e guidato dalle pubbliche istituzioni, può subentrare la tolleranza, e poi il rispetto reciproco, sempre che chi governa metta in atto degli strumenti che facilitino questo processo, e non lo ostacolino. Questa diffidenza iniziale verso chi è totalmente diverso da noi è, dal punto di vista antropologico, assolutamente naturale e funzionale alla conservazione della coesione della comunità originaria, è un riflesso culturale di difesa comprensibile, magari primitivo, e comunque superabile.
Questo è ciò che può essere definito xenofobia, cioè paura dello straniero, del diverso da noi, dello sconosciuto vissuto come una minaccia alla nostra integrità culturale. Ma quando ci si confronta con un cittadino italiano, che ha frequentato la tua stessa scuola italiana, che parla non solo un buon italiano (magari migliore del tuo), ma persino il tuo stesso dialetto locale, che paga le tue stesse tasse, che mangia i tuoi stessi spaghetti, che tifa per la tua stessa squadra, e magari dà lustro ai colori della tua stessa bandiera, e solo per il fatto che la sua pelle ha un diverso colore non viene riconosciuto come un tuo simile con uguali doveri e diritti, e anzi viene vissuto come appartenente ad una razza diversa e spesso inferiore e non degno di essere tuo pari, ecco questo è razzismo allo stato puro.
E io temo che questo sia il problema che si presenterà a breve, quando in questo paese ci saranno, come nel resto d’Europa, migliaia di cittadini italiani di vario colore. Cittadini italiani che, come il resto dei connazionali, si comporranno di onesti galantuomini, di brave persone, di furfanti, di delinquenti, e magari di campioni nazionali. Ed è per evitare di commettere un intollerabile errore di prospettiva, pericolosissimo per la convivenza civile di una comunità perché può minare alla base il fondamentale diritto alla uguaglianza valido per tutti i cittadini, per salvare le future generazioni di italiani da una velenosa infezione di razzismo, dobbiamo oggi far si che la tolleranza e il rispetto comincino molto prima, nella nostra consapevolezza di essere cittadini uguali tra uguali. Quella bandiera tricolore nella quale si avvoltolano i tifosi della Nazionale, non è un pareo buono solo per le calde notti Europee, ma è un manto che tutela e protegge chiunque si riconosca in esso e ad esso si affidi.
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