Io c’ero
Io c’ero, quando nei prati sterminati noi ragazzini studiavamo l’organizzazione delle formiche con la faccia nell’erba, storditi dal ronzio degli insetti e dal profumo dei fiori. E per merenda mangiavamo gustosissimi cardi e frutti di macchia.
E c’ero, quando cominciarono a sparire prati, vigneti, orticelli e campi di grano, e le casette rurali furono sbriciolate dalle ruspe e al loro posto sorsero palazzi e palazzoni con tante inferriate.
Io c’ero, quando la plastica invase il mercato e sembrava un’invenzione fantastica, ed era il primo passo verso un punto di non ritorno.
La Cina ci conquistò con un tessuto ricavato dal petrolio che non faceva respirare la pelle, con le infradito stampate in serie, con le bacinelle che sostituivano le pesanti bagnarole di zinco, con i fiori finti che sembravano veri e di cui presto furono pieni case e cimiteri.
E c’ero, quando fummo colpiti in pieno da quel “miracolo economico” che ci tolse ragione e sentimenti, facendoci sprofondare in un incubo senza uscita, che però allora sembrava un bel sogno.
E c’ero nel Sessantotto, nella parte obbligata della barricata: il mio posto era casa&chiesa, come stabilito per le donne, da antica tradizione. Salvo ottenere il beneplacito per un lavoro in nero, da aggiungere alle incombenze quotidiane di sposa&madre.
Io c’ero, ed era come se non ci fossi. Perché la donna non era ritenuta in grado di intendere e di volere, e non aveva libertà di parola né tantomeno il diritto di decidere alcunché.
Oggi ci sono, consapevole e vaccinata, e mi vedo girare insieme al mondo come il criceto nella ruota. Ripercorrendo sempre gli stessi passi, ripetendo sempre gli stessi errori, senza riuscire a dare una svolta al circuito chiuso: ma forse la storia degli uomini deve ancora iniziare.
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