Into the wild: iniziazione alla felicità
Terre selvagge di sfrontata bellezza, lontane dai confini urbani ma anche, sebbene più appartate, metropoli altrettanto selvagge per la loro meccanica disumanità. Il protagonista è un brillante neolaureato in fuga da un’ipocrita famiglia della middle class americana che esprime altresì l’esigenza di affrancarsi da un mondo corrotto e intrappolato nei propri ritmi convulsi. Tratto da una storia vera raccontata dall’omonimo romanzo, Into the wild è affidato alla caotica quanto convincente regia dell’attore Sean Penn. Il caos è quello di immagini troppo video-panoramiche con rincorse di flashback che sdoppiano il personaggio rendendolo incomprensibile, piuttosto che in empatia con lo spettatore. Convincenti, invece, sono alcune scene avventurose di caccia, per il folto repertorio di citazioni letterarie ma ancor più per i fortuiti incontri che arricchiscono il viaggio on the road del giovane Robinson Crusoe, densi di un apparato valoriale condivisibile e sincero: dalla nostalgica coppia di hippy alla giovane chitarrista fino a Franz, temporaneo nonno acquisito. Avido lettore e scrittore, il ragazzo attraverserà una solitaria iniziazione in Alaska alla scoperta dell’idea di libertà per come l’hanno interpretata i grandi romanzieri. Sulla base della propria esperienza, indubbiamente estrema, solo in extremis abbraccerà l’esigenza di afferrare le cose belle dell’esistenza senza, tuttavia, tralasciare il monito di Tolstoj, per il quale la felicità reale esiste soltanto se è condivisa.
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