Intervista alla scrittrice e giornalista Brunella Schisa
La musica – L’amore – Il romanzo – Distinzioni di genere – Omosessuali e razzismo.
Con il recente romanzo storico “La nemica” (Neri Pozza ed.), Brunella Schisa sta rinnovando il suo successo di autrice iniziato con la “Donna in nero” (Garzanti), rafforzato da “Dopo ogni abbandono” e da “La scelta di Giulia” (Mondadori). È giornalista del “Venerdì” di Repubblica e operatrice culturale di grande respiro.
I suoi libri sono veri romanzi storici, il genere letterario più difficile, perché deve aderire con l’invenzione psicologica ai fatti storici. Oggi che tutti sono (o si credono) romanzieri anche scrivendo una novella allungata e stiracchiata (e magari pure premiata ai concorsi che contano), è necessario distinguere il vero dal falso. Se non è facile costruire una storia pluriarticolata – come vorrebbe la regola del troppo abusato romanzo -, figuriamoci quando bisogna attenersi ai dati storici penetrando con la fantasia nel profondo dei personaggi, mettendo in atto quanto dice Manzoni: “Cosa ci offre la storia? Degli avvenimenti, quel che gli uomini hanno fatto. Ma quel che hanno pensato, i sentimenti che hanno accompagnato le loro decisioni e i loro progetti, i loro successi e le loro sconfitte; i discorsi con i quali hanno fatto prevalere, o tentato di far prevalere, le loro passioni e le loro volontà su altre passioni e su altre volontà, coi quali hanno rivelato la loro personalità: tutto questo la storia lo passa sotto silenzio”.
Brunella Schisa è tra le autrici (e gli autori) più seri, compiuti, profondi del nostro tempo. Nel suo caso i due termini “romanzo storico” non sono una falsa dichiarazione editoriale, bensì un exemplum.
Nell’ultimo lavoro, “La nemica”, il tempo è quello della Rivoluzione Francese e l’intrigo legato a certi gioielli della Regina. Quanta potenza nelle descrizioni dei protagonisti e quanto scandaglio in quel complesso periodo storico!
Intervista
D – Oggi si distingue “scrittore” da “scrittrice”. Anche in questo caso ci sono le divisioni di genere?
R – Non credo alle divisioni di genere. Sindaco e sindaca, avvocato e avvocatessa (si dice così?). Così come non mi piace il termine “scrittura femminile”. Esiste la scrittura.
D – Si dice che ci sono più autori che lettori. La frase pare un paradosso, ma qualcosa ha di vero…
R – Temo che sia verissima. I lettori sono meno di quelli che hanno un libro nel cassetto. Io mi ostino a pensare che prima di scrivere bisogna leggere, e leggere possibilmente in modo attento e curioso. Infatti nei corsi di scrittura creativa insegnano a farlo, a capire la struttura di un libro, la tecnica narrativa, solamente così si può imparare. La scrittura è fatta di furti.
D – Il romanzo e il racconto sono due generi letterari ben distinti, con regole secolari. Oggi tutto passa per romanzo, anche un elenco telefonico. Lei che è un’autrice di romanzi nel senso storico della parola, cosa pensa di questo andazzo?
R – Credo che il racconto sia più difficile da scrivere perché bisogna raccontare una storia con un inizio, uno svolgimento e una fine in poche pagine. La sintesi è la bestia nera del principiante, ma anche di molti scrittori. È molto più facile scrivere una storia in duecento pagine che in trenta. Della costruzione del plot, della coerenza narrativa poco importa, se non si capisce niente, si spaccia per post romanzo.
D – Lei è giornalista. Trova differenza fra lo scrivere per un giornale e il comporre libri?
R – Sì, è un altro mestiere. Un giornalista deve stare sulla verità dei fatti, non può sgarrare, il romanziere è libero da quel giogo. Nel mio caso, scrivendo romanzi storici devo rispettare la Storia, ma poi mi sfogo sui personaggi.
D – Nei suoi romanzi grande posto ha l’amore. Come lo definirebbe?
R – Essenziale, visto che il romanzo è la riscrittura della vita. Non conosco persone che non amano o non hanno amato.
D – Qual è stato l’incontro più interessante nelle sue numerose interviste per il “Venerdì di Repubblica”?
R – Ho avuto tanti incontri e sono stata una donna fortunata. Certamente il più difficile fu con Cartier Bresson, nella sua casa di rue de Rivoli a Parigi nel 1990. Il grande maestro aveva lasciato la fotografia e dipingeva. Ero andata a intervistarlo per parlare della sua prima mostra, ma in realtà i suoi dipinti mi interessavano meno della sua storia di fotografo del mondo. Lui ovviamente lo capì e mi rimproverò. Mi guardò scontento trafiggendomi con gli occhi come due punteruoli e mi disse gelido: “Madame, a lei non interessa affatto il mio lavoro”. Mi sentii scoperta… e forse fu la paura a farmi tirare fuori una faccia tosta che non credevo di avere. Lo fissai con il mio sguardo più sfrontato e gli dissi: “È vero, dei suoi acquerelli mi importa poco, sono interessato a Lei!» Mi offrì un tè e cominciammo a parlare amabilmente. Quando andai via mi regalò un suo libro fotografico con una dedica affettuosa che conservo come una reliquia.
D – Si dice che i genitori amino ugualmente i figli, cosa contestabilissima. I libri sono come i figli, si ripete. Quale dei suoi romanzi ama di più e perché?
R – “La scelta di Giulia” perché parla della mia famiglia. È stato faticoso e divertente mettere il naso nel detto e nel non detto familiare, fare rivivere i miei bisnonni, i nonni e raccontare di me ventenne.
D – Quali autori del Novecento mondiale le sono più a cuore?
R – Pur essendo una francesista il mio cuore batte per gli anglosassoni. Henry James, Edith Wharton, Graham Green. Nomino di getto questi primi tre perché sono autori che, dopo aver scoperto, ho voluto leggere a tappeto. Mi è capitato anche con Stefan Zweig.
D – Ama la musica, oltre la pittura? Quali autori le sono congeniali?
R – Adoro la musica ma non sono capace di ascoltarla mentre lavoro. Mi piace il rock e la canzone napoletana. Ma anche il jazz di Benny Goodman e Charlie Parker. Quanto alla classica, per anni non ho capito Brahms e Mahler ma adesso ascolto soltanto loro.
D – Sembra una domanda banale, ma io la rivolgo sempre a tutti e, se non trascrivo la risposta, è perché essa spesso è banale. Perché scrive?
R – Per affacciarmi a una finestra che non ho mai aperto, per esplorare mondi, per raccontare storie. Scrivo per intrattenermi e per divertirmi.
D – Poiché all’inizio le ho posto un problema di “genere”, torno a farle una domanda specifica: quali differenze di fondo esistono tra la scrittura femminile e quella maschile?
R – Non so risponderle. Io divido gli scrittori in bravi, mediocri, cattivi e pessimi e nella lista ci sono sia uomini che donne. Forse alle donne mancano la violenza, la scurrilità, sono meno capaci di scritture estreme, infatti non tutti credono che Elena Ferrante sia una donna e qualcuno ipotizza che abbia dietro un pool di scrittori maschi. Le donne non sanno scrivere di femminicidio forse perché per loro è un nervo scoperto. Per il resto le donne sono all’altezza degli uomini e talvolta anche più brave.
D – Oggi va di moda parlare di due cose: gli omosessuali e il razzismo. Come definirebbe il secondo termine e cosa pensa del matrimonio gay nonché delle adozioni da parte di essi?
R – Noi italiani non siamo preparati all’accoglienza e al rispetto degli altri. Ricordo che da ragazza andavo all’estero e mi stupivo della quantità di indiani che lavoravano a Londra e dei tanti algerini e magrebini a Parigi perfettamente integrati. Se sei un negro, se hai una storia coloniale alle spalle possiedi una cultura diversa. Noi ci siamo trovati improvvisamente sommersi da ondate di disperati e di fronte ai grandi numeri e alla incapacità della politica, molti hanno tirato fuori gli istinti peggiori. Altro che “Italiani brava gente”! Quanto ai gay, mi sembra sacrosanto dargli il diritto di sposarsi e di avere la legge dalla loro parte. All’adozione comincio ad abituarmi, ma trovo inaccettabile la maternità surrogata.
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