Intervista a Enrico Pietrangeli
La tua poesia è d’impatto, di lucreziana memoria. Il poeta latino era convinto che il fascino della poesia aprisse la mente. Tu metti il lettore in condizione di riflettere partendo da se stesso per confrontarsi con scomode verità: terrorismo e pena di morte, per esempio. Era questo l’obiettivo che ti prefissavi con il tuo lavoro?
L’impatto è certamente determinante per quanto, a proposito di natura delle cose, dovrebbe essere già insito nella poesia, addentellati classici non mancano e non dovrebbero mai mancare per evolvere un contesto nella tradizione. Lucrezio, laico antelitteram, rappresenterà poi una possibile mancata opportunità di compensazione del cristianesimo al pensiero epicureo e, di conseguenza, il suo allinearsi al potere che vedrà, nei suoi esiti, il disfacimento dell’Impero già presentito dal poeta. Se davvero sono riuscito a mettere il lettore di fronte a se stesso, è la poesia a prevalere, non l’autore che, tutt’al più, ne è stato il primo fruitore. È inevitabile che poi emergano anche verità scomode, tanto private quanto pubbliche. Terrorismo e pena di morte sono, negli esiti, due facce della stessa medaglia. L’obiettivo resta quello di fare poesia.
Dici che la vera condanna dell’uomo è la rinuncia alla poesia come condizione di vita. Per cui pubblicare libri di poesia è per te una sfida?
Dico che nell’incapacità di una poetica del vivere, un’inadeguatezza divenuta cancrena, si manifesta l’imbarbarimento di una vuota affermazione del sé che prescinde dalla conoscenza. Il presagio di un’apocalisse è, prima di tutto, inconsapevolezza interiore. Per osservarne gli esiti, basti seguire gli sviluppi di talune cronache dei kamikaze. Poco importa se con o senza dio, se trattasi di un giovane talebano indottrinato al fanatismo o di un vuoto e frustrato adolescente occidentale che lascia libero sfogo al suo delirio. In entrambi i casi, l’orrore diviene strumento di affermazione. La poesia è taumaturgica, ci permette di salvare il salvabile di questo mondo, mentre pubblicare libri di poesia è, oggigiorno, quasi sempre un perverso meccanismo.
Passeggi tra passato e presente e fissi impietoso il malessere generato dall’ipocrisia. Secondo te è un cancro recente o è una malattia cronica dell’ uomo?
In nome dell’ipocrisia censuriamo e deviamo dal vero. Né recente flagello, né malattia congenita bensì una falsa riga dove l’uomo, da sempre, fuorvia dalla propria coscienza semplicemente ignorandola. Le tracce di tutto questo sono, addirittura, bibliche. Dall’ignorare all’orrore, comunque, la strada da percorrere non è poi tanta e la storia ci tramanda diversi macabri incubi da cui ci siamo risvegliati soltanto ieri…
Qualunquismo e consumismo stravolgono l’etica e la morale nel nostro vivere quotidiano. La poesia può combattere e vincere questi mostri?
Se la poesia, di diritto, viene accolta come parte del nostro vivere, ovvero preservando un’educazione alla poesia, non occorrerebbe neppure porsi il problema di un’etica del vivere. La poesia distingue una società evoluta poiché quest’ultima non abbisogna soltanto di leggi per fronteggiare problemi ma sa anche creare armonie, pensiero, radici. La poesia non conosce mai esiti totalitari ed è ben lontana dal perseguire una morale. Il mostro, in ogni caso, va sempre ricercato dentro di noi, trovo inutile continuare a barricarsi dietro stereotipi come qualunquismo e consumismo.
I tuoi messaggi passano con la forza della sintesi: in questo il tuo maestro è il tuo amato Ungaretti: come lui sei “girovago” in cerca di un paese innocente?
Ungaretti è uno dei punti di riferimento del Novecento e girovaghi, per loro natura, sono un po’ tutti i poeti. Per arrivare ad una poetica in grado di entusiasmare verso una possibile meta d’innocenza la strada da fare non è mai abbastanza.
E l’amore, l’amore con te ha un sapore amaro. Perchè?
L’amore è una manifestazione inafferrabile, un ideale ma anche un concreto ed ineluttabile percorso del vivere e, per questo, non privo di ostacoli. L’amore è parte di un’iniziazione all’oltre ormai completamente artefatta dalla strisciante sottocultura del sentimentalismo preconfezionato, ridotto a mera ipocrisia, parvenza di scaramantici rituali perpetuati con lucchetti assemblati. Cattivi maestri, probabilmente, non sono soltanto certi teologi integralisti.
Un grazie però per “Alchimia” ed “Emozioni in saldo” che sono una porta aperta alla speranza, nonostante tutto… è la giusta interpretazione?
Qualcosa resiste e si chiama sempre poesia, sebbene monopolizzata da pochi e praticata, senza opportuni scrupoli, da tutti.
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