Interventi a gamba tesa – La giustizia che celebra sé stessa
Un tribunale italiano ha processato e condannato, in contumacia, un gruppetto di novantenni tedeschi con un piede già nella fossa, colpevoli di un eccidio di guerra compiuto oltre sessanta anni fa. Quanto al delitto, è fuor di dubbio che esso sia stato orribile e che meritava assolutamente di essere punito, peccato che ciò sia accaduto con più di mezzo secolo di ritardo. A che serve un tribunale umano quando il colpevole è già stato condannato dalla Storia e fra poco lo sarà pure da un ben più alto Tribunale? Una giustizia che non riesce a giudicare un ladro di polli in meno di dieci anni si affanna per emanare una sentenza che non potrà mai essere applicata? A chi e a cosa giovano le inutili spese per imbastire un grottesco processo ad una torma di spettri? Qualcuno ha paragonato il funzionamento della giustizia italiana a quello del Policlinico Umberto I: baronie, sprechi, delirio di onnipotenza, armadi pieni di scheletri forse non solo metaforici. Sapevate che i magistrati sono l’unica categoria che non risponde mai e a nessuno – salvo rarissimi casi – degli errori commessi nell’esercizio delle sue funzioni? Pagano le loro colpe gli ingegneri, i tecnici, i consulenti, i dirigenti, spesso anche i medici (il che è tutto dire!) ma i giudici no, in barba alla (mai applicata) legge del 13 aprile 1988 n° 117 sulla responsabilità civile dei magistrati. Forse, come spesso accade, la realtà davvero supera la fantasia.
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