Interrogarsi sul futuro che verrà
Interrogarsi sul futuro che verrà. Quel male che ha sconvolto il mondo
Intervista al prof Guido Brunetti
Sul post covid-19 si cominciano ad avanzare ipotesi, congetture, riflessioni. Le idee non sono chiare, c’è come è naturale molta confusione, insieme con tanta incertezza, preoccupazione e inquietudine. La discussione risulta stucchevole e non si solleva dalle fatuità. Quale avvenire ci attende? Quali cambiamenti si aspettano gli italiani? Cerchiamo di analizzare e approfondire la situazione post-emergenza con il professor Guido Brunetti, umanista-scienziato e autore di numerosi libri di neuroscienze, psichiatria e psicoanalisi. “E’ il momento- afferma- di cominciare ad interrogarsi sul futuro che verrà, dopo che la nuova malattia, quel male che ha sconvolto il mondo, ha lasciato molte macerie umane, psicologiche, sociali ed economiche. Che pongono numerosi, complessi e difficili problemi. Dobbiamo essere tutti impegnati alla ripartenza di una comunità traumatizzata da giorni di sofferenza e angoscia. Siamo chiamati a far rinascere la vita da lacerazioni devastanti.
E’ possibile ricavare qualche indicazione da questa drammatica vicenda?
“Anzitutto, dobbiamo trarre insegnamenti dalle privazioni e dalle frustrazioni che abbiamo subito per ridurre i contagi e non dissipare la grande occasione di individuare e pianificare strategie e modelli di funzionamento e di sviluppo delle nostre comunità. Il morbo ha stroncato vite, privato affetti, inflitto sofferenze, ansia e stress. Ognuno ha vissuto la pandemia in modo profondamente diverso, non tanto per motivi culturali, ma perché abbiamo strutture cerebrali diverse. Una patologia nuova senza evidenze scientifiche, il narcisismo di tanti esperti come dispensatori di ansia e sciagure, la follia mediatica di terapie efficaci se non miracolose, l’infodemia, l’epidemia di informazioni. Ci attende un lungo, incerto percorso, che dobbiamo compiere con fiducia e speranza”.
Abbiamo scoperto di essere persone deboli.
“Credevamo di essere padroni del mondo, in grado di realizzare, come teorizzato dall’illuminismo, un mondo perfetto senza Dio, religione, il sacro, la dimensione del trascendente. Oggi, il male di questo tempo, ci ricorda che l’uomo è un essere fragile. E l’idea del primato della ragione avanzata da Voltaire, con le teorie del positivismo scientista e l’ateismo, si è rivelata un fallimento, a motivo di tante utopie, deliri, intolleranza. Fattori che hanno oscurato la civiltà occidentale, anche attraverso il virus del male, dell’egoismo e dell’utilitarismo”.
Ecco, il male. Perché il male?
“E’ una domanda che da sempre sconcerta filosofi e scrittori, fin dall’antichità. Tentativi di risposta si riscontrano nelle grandi religioni, nelle filosofie e nelle letterature di tutti i tempi. A cominciare da Omero (VIII sec. a. C.) a Esiodo, dai tragici greci ad Anassimandro, Socrate, Platone, Aristotele, quindi proseguire con il pensiero medioevale e giungere a quello moderno e contemporaneo. In tutti, c’è una coscienza assai forte dell’angosciosa presenza del male nel mondo”.
Quale deduzione si può ricavare?
“L’analisi dell’immenso materiale mostra che il male, come il bene, sfugge alla comprensione della nostra ragione. Dobbiamo fare appello alla dimensione del sacro e della religione. Il cristianesimo ad esempio- spiega Brunetti- teorizza il peccato originale e giudica la morte di Cristo come una ‘immolazione divina’ per il male e le colpe passate e future dell’uomo. Il male tuttavia resta un mistero, una sfida alla ragione. Il ‘perché’ è noto solo a Dio”.
Da dove partire?
“Dobbiamo compiere un processo di rinascita, costruire una dimensione nuova, sostenuta dalla positività e dalle nascoste energie personali e dai valori umani, per assicurare benessere mentale ed emozionale, partendo da noi stessi, dal fatto di esserci scoperti, come dimostrano le neuroscienze, unici, identici e differenti”.
Come sarà l’uomo del post-virus?
“Alcune ricerche sostengono che usciremo migliori dall’emergenza; altri studi pensano che non cambieremo, mentre altri ancora che saremo peggiori, delineando il tramonto della solidarietà e dell’altruismo, e il primato dell’insofferenza. Ovviamente, sono solo indicazioni, perché le reazioni sono sempre individuali, uniche, personali, abbiamo un cervello unico e diverso. Sta di fatto che in questo annus horribilis 2020, l’isolamento ci ha incattivito, accumulando frustrazioni e aggressività. Il livello di umanità si è alterato anche attraverso l’impoverimento sociale, morale e materiale, l’angoscia e le paure. Paura per i propri cari, paura della solitudine, paura di una società frantumata, la paura del vuoto culturale, la paura dell’altro, che genera ostilità e odio. E’ una crisi antropologica”.
Che cosa significa partire da se stessi e dai valori umani?
“Noi, d’accordo con il premio Nobel per la medicina, Eric Kandel, siamo convinti che il fine ultimo delle scienze neurobiologiche, ma così anche dei sistemi istituzionali, sia il benessere degli esseri umani. Bisogna agire con dedizione e senso di umanità. Dobbiamo vedere nella ripartenza, l’inizio di un periodo eccitante della nostra vita, un’epoca che ci darà l’opportunità di contribuire allo sviluppo della persona e al progresso della società, in maniera nuova e creativa, più profonda e a misura d’uomo. Dobbiamo perciò guardare al futuro con fiducia. Per queste ragioni, dobbiamo essere fortemente impegnati a promuovere la nascita di un nuovo umanesimo reso più razionale dalla conoscenza più profonda del cervello e della mente umana”.
Professor Brunetti, quali le conclusioni?
“Si tratta di avviare un processo che possa rigenerare le nostre vite. Per dare speranza e futuro all’umanità. Si apre indubbiamente una fase di ‘eccezionalità’, che porti, prima possibile, il nostro Paese fuori dalla ‘normalità’ delle sue insufficienze, con una forte discontinuità rispetto a comportamenti e metodi impropri”.
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