Inno al genio femminile
Nel suo ultimo libro “Sei Unica. Inno al genio femminile” Papa Francesco – insieme ai brani più amati quali quelli di molte scrittrici, poetesse, artiste come Jane Austen, Hannah Arendt, Agatha Christie, Emily Dickinson, Frida Kahlo, Edith Stein, Saffo, Madre Teresa di Calcutta, Anna Frank, Maria Montessori, Santa Caterina da Siena, Virginia Woolf e molte altre – ha celebrato il ruolo insostituibile del genio femminile nel tempo e che ancora oggi rappresenta un tema di estrema attualità. Ha dichiarato infatti che molto ancora c’è da fare per la parità di genere, per la lotta al patriarcato e alla violenza sulle donne, per un’equa, pari e giusta retribuzione della donna, per il riconoscimento del ruolo della donna nella società, per la maternità, per la natalità, per la dignità e per il rispetto dei diritti di tutte le donne. Il Pontefice, come inno alla centralità della donna e al suo fondamentale contributo nella costruzione di un mondo di vero progresso e di pace, si rivolge a tutte le donne del mondo con queste parole: “Sei l’armonia, sei la poesia, sei la bellezza. Se vogliamo tessere di umanità le trame dei nostri giorni, non possiamo che ripartire da te. Il tuo “genio” può dare un apporto decisivo nella vita pubblica e ha un ruolo imprescindibile nell’ambito famigliare. È indubbio che si debba fare molto di più in tuo favore. È importante che la tua voce sia più ascoltata, che abbia sempre più peso. È necessario che la tua autorevolezza sia riconosciuta”.
La condizione della donna nel corso dei secoli ha subito svariati cambiamenti, in quasi tutti i tempi e paesi essa è stata sottoposta nelle società del passato a un trattamento meno favorevole di quello riservato all’uomo, sia dal punto di vista giuridico, economico, civile tanto da rimanere esclusa da tutta una serie di diritti e di attività sociali. Messa ai margini della società stessa.
E la storia ci insegna che a differenza delle civiltà arcaiche, nelle quali la donna era regina della famiglia e potente nella comunità perché generava la vita, nell’antica Grecia il suo ruolo mutò radicalmente. I grandi filosofi come Platone, Pitagora o Euripide la consideravano ignorante, inferiore, incompleta e soggetta alla potestà del padre per poi passare, dopo il matrimonio, alla potestà del marito. Un oggetto sul quale si aveva il possesso.
E così in epoca romana era sempre la donna quella figura del nucleo familiare sulla quale incombevano i compiti del mantenimento dei figli e della casa mentre le scelte erano sempre affidate all’uomo. Solo le mogli dei grandi imperatori erano artefici nella vita politica, di conseguenza potenti e libere.
Così nel Medioevo ma anche nel mondo cristiano la figura femminile aveva pochi diritti: quando contraeva matrimonio riceveva una dote ma perdeva il diritto di amministrarla poiché era il marito che la gestiva, era il marito che controllava la moglie, donne che non potevano uscire di casa senza essere accompagnate da un uomo, in quanto la loro libertà avrebbe minacciato l’ordine sociale. Molte furono tacciate come streghe messe al rogo o represse.
Solo grazie al lavoro divennero più libere. Non erano più confinate in casa e sottomesse, le contadine lavoravano nei campi, le artigiane nella bottega del marito.
Fu dopo la Rivoluzione Francese che grazie a Napoleone la sfera dei diritti delle donne venne ampliata. Venne concesso loro di poter mantenere il proprio cognome anche in caso di matrimonio, di esercitare autonomamente attività commerciali e fu abolita la disparità di trattamento nella divisione dell’eredità del patrimonio familiare. Poi, nel mondo occidentale, tra fine Ottocento e inizio Novecento le rappresentanti del genere femminile iniziarono a far sentire la propria voce e a chiedere gli stessi diritti degli uomini, pari opportunità. L’industrializzazione contribuì in modo fondamentale al cambiamento perché le donne cominciarono a lavorare e ad essere consapevoli del loro valore quanto quello degli uomini se non di più e questo soprattutto durante le due guerre mondiali, quando dovettero sostituire nei loro compiti gli uomini chiamati alle armi.
Così andando avanti con il tempo, in Italia nel 1946 arrivarono i primi riconoscimenti: le donne votarono per la prima volta e nel 1948 la Costituzione stabilì l’uguaglianza tra i sessi e nel 1975 una legge decretò la parità di diritti tra marito e moglie.
Come non ricordare a tal proposito l’immagine del film “C’è ancora domani” in cui la protagonista Delia (l’attrice Paola Cortellesi) si riscatta insieme a tutte le donne che un poco alla volta scoprono di avere una voce, un’identità, un corpo desiderante, ma anche un corpo sociale, ribelle e insofferente, e che finalmente si può esprimere nell’anno 1946 quando per la prima volta le donne possono andare a votare.
La storia del film “C’è ancora domani” è ambientata nel dopoguerra, Roma, maggio 1946, dove la protagonista, Delia è una brava donna, ma ha un solo difetto: parla troppo. In balìa di un marito padrone Ivano (l’attore Valerio Mastandrea) e di un suocero canaglia Ottorino (l’attore Giorgio Colangelo), ha come unica aspirazione che la sua primogenita Marcella si sposi “bene”. Autoritario e violento, Ivano decide se e quando Delia può uscire, come si deve vestire e amministra i soldi della famiglia. Delia è una moglie devota, sopporta a testa bassa e va avanti accettando l’unica vita che crede possibile. La protagonista è una donna invisibile, dimessa, una delle tante donne-ombra non viste, non rispettate, non considerate. Il suo ruolo è quello di moglie e madre, serva e sguattera. La sua vita è una corsa continua, piena di affanni e frustrazioni Delia deve districarsi tra i doveri quotidiani di una donna di umili origini dell’epoca, in cui alle difficoltà oggettive del tirare avanti, mentre la guerra lascia ancora i suoi strascichi, si somma il fatto che, essendo donna, conta poco o nulla ed è completamente asservita alle figure maschili. In giornate che passano sovrapponibili tra lavoretti, dedizione alla famiglia e violenze domestiche, con l’unica distrazione delle chiacchiere ritagliate con l’amica fruttivendola Marisa (l’attrice Emanuela Fanelli) e l’ex amore di gioventù, il meccanico Nino (l’attore Vinicio Marchioni) si fa strada la consapevolezza di valere qualcosa di più del poco che è costretta ogni giorno a sopportare. Tutte le donne nel film sono donne che, mute, pazienti e rinunciatarie, hanno fatto l’Italia, hanno sperato un futuro migliore per i propri figli, hanno scelto senza saperlo (e quasi senza volerlo) di diventare protagoniste della Storia, di uscire dal cono d’ombra dell’anonimato. “C’è ancora domani” è un film dichiaratamente femminista, che sta orgogliosamente dalla parte delle donne donando loro importanza e dignità proprio per mezzo del voto elettorale e la possibilità di riscattarsi di fronte al maschilismo spietato che si manifesta attraverso la violenza dell’uomo sulla donna e l’esaltazione del patriarcato.
Il messaggio rivolto a tutte le donne, ma che vale anche per gli uomini, è che: il cambiamento si fa dentro la cabina elettorale con la matita in mano. Quella matita, è più forte di qualsiasi arma, più pericolosa di una lupara e più affilata di un coltello.
Molte donne potrebbero essere prese a modello, perché, nonostante il peso dell’eredità culturale in cui sono cresciute, sono riuscite a raggiungere risultati incredibili in campo sociale, della scienza e delle arti, molte nel tempo hanno cambiato o stanno cambiando il mondo: regine, leader, manager, scienziate, premi Nobel, ecc., ma c’è ancora molto da fare. Purtroppo ci sono ancora nel mondo molte violazioni sulle donne: femminicidi, discriminazioni di genere, mutilazioni genitali, violenze, abusi, delitti d’ onore, ecc.
Le bambine, le ragazze e le donne possono e devono essere dei potenti agenti di cambiamento sia nelle loro famiglie che nelle comunità a cui appartengono. Dando loro libertà d’azione e l’accesso a tutti gli strumenti, assicurati da millenni al genere maschile, le ragazze e le donne potrebbero imprimere un incredibile cambio di velocità nel progresso verso un mondo più giusto e sostenibile.
Virginia Woolf diceva:” “Le donne devono sempre ricordarsi chi sono, e di cosa sono capaci. Non devono temere di attraversare gli sterminati campi dell’irrazionalità, e neanche di rimanere sospese sulle stelle, di notte, appoggiate al balcone del cielo. Non devono aver paura del buio che inabissa le cose, perché quel buio libera una moltitudine di tesori. Quel buio che loro, libere, scarmigliate e fiere, conoscono come nessun uomo saprà mai.”
Mi rivolgo a Voi tutte donne: riscopriamo il nostro valore, l’amore per noi stesse, la sorellanza e la solidarietà femminile, sviluppiamo una maggiore autostima, attingiamo alle nostre capacità e al nostro grandissimo potenziale, alla nostra creatività, al nostro estro, al nostro impegno, alla nostra dedizione, alla nostra infinita pazienza, al nostro coraggio, alla nostra forza, alla nostra peculiare sensibilità e tenerezza, al nostro essere multitasking. Stimoliamo le altre donne ad assumere un ruolo non più subalterno per affermare pienamente noi stesse, nella convinzione che un nostro maggiore impegno porterà a una trasformazione positiva della società e a un più attento interesse nei confronti dei valori dello spirito. Avanti Donne!
alla buon’ora, Santo Padre!
e che sia a cominciare da tutte le sante donne al servizio del Clero!