Independence day: prospettive su un referendum
L’Europa, divisa tra unione e frammentazione, ha assistito al referendum della Scozia con il fiato sospeso, trovandosi in uno stallo istituzionale e una crisi economica che spinge varie realtà sociali alla ricerca di un nazionalismo di antica data. La richiesta di autodeterminazione è principalmente collegata a problemi economici, sicuramente validi, che non riguardano una condizione sociale o una collocazione territoriale. Argomento principe è la gestione economica, disinteressandosi di come si sia sviluppato lo stato di benessere che si è raggiunto negli anni precedenti.
Siamo coscienti che l’attuale Europa più che su un’unione sociale è basata su un’unione economica, nella quale l’economia forte impone regole alle altre nazioni. Una condizione che se non trova una base comune (come avviene negli Usa) rischia un’implosione istituzionale.
I rilievi avanzati dalla Scozia, oltre a una maggiore determinazione sociale, evidenziano la situazione economica legata al petrolio e la destinazione della tassazione. Argomenti che trovano terreno fertile in Catalogna (Spagna) e dalla Lega (Italia), anche se altre entità locali sono pronte a esplodere in questa nostra vecchia Europa. Questi avvenimenti pongono in risalto che un’unione economica, pur se importante, non è fondamentale se le millenarie realtà locali non sono in grado di determinare una struttura sociale all’interno della stessa Unione. La Scozia, nella sua richiesta di indipendenza, non contrasta l’Unione Europea, a cui avrebbe richiesto di entrare come nazione, ma tende solo al distacco dal Regno Unito, cui è legata da oltre 300 anni, per i motivi già descritti. In casa nostra è evidente l’inesistenza di una ‘nazione padana’, così come lo è un ritorno a contee, ducati, dominazioni straniere (anche se le chiamiamo Regioni). L’unico baluardo è di natura economica ove, senza ripercorrere l’intera storia, ricordiamo lo sfruttamento della migrazione del sud, gli stanziamenti economici destinati al mezzogiorno con la creazione delle ‘cattedrali nel deserto’ dirottando i capitali al nord, smaltimenti di rifiuti tossici a costi irrisori (grazie a collaborazioni delittuose), non ultimi i ‘famigerati emigranti extra-comunitari’ impiegati nelle attività produttive a 3 euro ogni ora di lavoro. Molte sono le considerazioni su un raggiunto benessere economico e industriale.
Considerando il moltiplicarsi dei movimenti anti-europei delle ultime elezioni e il malessere economico dominante in molte nazioni, la sola unione monetaria è destinata al fallimento. Gli Spinelli, Adenauer, Schuman, De Gasperi, Churchill e gli altri ispiratori dell’unità europea tra il 1948 e il 1952, dopo il disastroso conflitto della seconda guerra mondiale, si ispirarono a un’unione di pace, senza conflitti sociali e proiettata al benessere dei cittadini nel loro essere europei. Oggi vediamo la pacificazione acquisita come scontata, relegando all’Africa e ad altre località del mondo una conflittualità bellica, frammentata in svariate guerre di potere o economiche. Perdendo i principi fondamentali che ispirarono l’unità europea, il rischio di conflittualità locali non è del tutto sopito.
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