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Incrocio di sorrisi

Novembre 03
18:03 2010

Era una mattina buia e tempestosa, i lampioni ancora accesi sembravano prolungare le notti insonni di impiegati e faccendieri che si avviavano dentro le loro macchine in colonna verso un semaforo che avrebbero dato il via ad un’altra giornata lavorativa. Sui loro volti nessuna emozione; non la gioia di aver superato la notte insonne, non la frustrazione di un altro giorno di stanco lavoro, non la speranza che quello stesso giorno potesse riservare qualche lieto risveglio. Lollo guidava la solita strada sulla solita macchina, la pioggia insistente gli bussava sul parabrezza, azionò il tergicristallo che servì solo a fargli vedere meglio quella strada che lo stava portando alla scuola elementare dove insegnava, agli alunni indisciplinati, al direttore sempre incazzato. Buttò un occhio sullo specchio retrovisore, quello centrale, e vide che anche il lunotto posteriore era bagnato, freddo, e non gli permetteva di mettere a fuoco quello che il suo andare si lasciava alle spalle; pensò al figlio che aveva problemi a trovare lavoro, alla moglie depressa, al cane che la sera prima aveva rifiutato una sua carezza. Proseguì dritto Lollo, in quel giorno mascherato da notte in cui gli incubi scansati poche ore prima giocavano ad acchiapparella nella sua testa già orfana di un sonno ristoratore. Intorno altre macchine, altre scatole. E dentro altre persone, e dentro altre teste, e dentro altri problemi. Scatole cinesi, tutte intorno a Lollo, tutte uguali e tutte diverse. A Lollo sarebbe piaciuto entrare dentro una di quelle scatole, aprirla, aprire la persona, aprire la testa con sempre viva la speranza di trovare un problema comune, un suo bisogno che era anche di un altro; se lo avesse trovato avrebbe ricomposto le scatole cinesi, ma solo fino alla scatola della persona. Per parlarci, per trovare una soluzione, per condividere insieme qualcosa, per gettare via l’ultima scatola, quella dei pensieri cattivi.

Ma le scatole cinesi erano tutte dentro la scatola più grande, la macchina, quella scatola di latta chiusa e impenetrabile, sbuffante, arrogante, poco propensa al minimo contatto. E dentro universi paralleli destinati a non incontrarsi mai, non comunicanti ma sottomessi alla dittatura dell’oggetto più democratico che esista: il semaforo. Appena fosse scattato il verde quelle scatole cinesi sarebbero schizzate via per sempre, senza rivelare i loro contenuti. Lollo aveva voglia di parlare, forse era l’unico in mezzo a quella fila di macchine; quello nella Mercedes marrone avrebbe condiviso i suoi problemi col fisco al suo commercialista, il giovanotto nella 127 avrebbe confessato i suoi timori per un esame universitario ad un amico, la giovane mamma nella Mini avrebbe pianto il tradimento del marito sulle spalle della fruttivendola, ma lui non aveva nessuno con cui esprimere le sue paure, le sue frustrazioni; la moglie piangeva da sola, il direttore si incazzava con chiunque, il figlio prestava più attenzione a “Concorsi per tutti” che a lui. Nemmeno il cane!
Surgelato nella sua scatola cinese, muto e assonnato, Lollo se ne stava buono e remissivo ad aspettare che il semaforo gli avesse concesso il lasciapassare per vivere un’altra giornata qualsiasi. Dal lato sinistro della strada una donna dolce ma non appariscente attraversò l’incrocio con fare spedito e giunta davanti all’auto di Lollo gli regalò un sorriso solare che gli ravvivò il volto in mezzo secondo. Lui si gustò quello splendido sorriso, da dietro clacson e vilipendi lo esortarono a muoversi; ripartì, superò l’incrocio e poi cercò di razionalizzare quel sorriso, di trovarne la causa. Scartò subito l’ipotesi che il sorriso della donna fosse un segno di ringraziamento; era in prima fila davanti al semaforo ma non era l’unico e poi la donna aveva avuto tutto il tempo per attraversare. Si guardò allo specchio, la barba era di un paio di giorni, “..forse mi dà un’aria selvaggia che piace!” pensò. Ma lui sapeva di non essere bello, né di avere un aspetto interessante, era anzi anonimo e quella mattina pure assonnato e triste. Arrivato alla scuola non ci pensò più, la smise di razionalizzare quel sorriso avuto in omaggio e si tenne per tutta la giornata la sensazione di benessere che quel sorriso gli aveva provocato.
Passarono alcuni anni, Lollo andò in pensione, attraversò momenti molto brutti, la moglie si era tolta la vita sconfitta dalla depressione, l’unico figlio aveva accettato un lavoro in Germania e faceva visita al padre una o due volte l’anno. Si sentiva solo e arrivato a sessantacinque anni cominciava a tirare i conti della sua vita, a chiedersi dove aveva sbagliato e se in quella sua vita c’era qualcosa da salvare. Il lavoro niente, il matrimonio no, il figlio nemmeno; le donne no, il successo nemmeno, i soldi niente. Niente, niente, niente!! Di nuovo gli venne in mente la metafora delle scatole cinesi; questa volta apriva la scatola della sua vita che conteneva altre scatole, con ricordi da salvare delusamente sempre più piccoli, sempre più piccoli, più piccoli, piccoli….
Con maggiore foga e ansia scartava i ricordi e ogni volta ridimensionava la speranza di trovare qualcosa di bello nella scatola cinese di quella sua vita: “un’esperienza sessuale no, una vacanza estiva no, un libro che mi ha illuminato no, un sigaro cubano no, una scena di un varietà del sabato sera…no!”. A Lollo venne voglia di gettarla via questa scatola cinese, questa pratica masochista che gli portava via ancora un po’ di quel poco tempo che ancora gli era rimasto. Poi improvvisamente, la luce verde! Si ricordò di quella fredda mattina di tanti anni prima in cui una donna gli aveva regalato un sorriso senza motivo, e questo gesto lo aveva fatto galleggiare per tutta la giornata, come se avesse raggiunto la pace dei sensi con quel sorriso; nessuna volontà, nessuna recriminazione, quel giorno si era sentito perfettamente a suo agio nel mondo.
“E il sorriso della donna sia!” disse raggiante in volo, contento di aver trovato almeno una cosa per la quale era valsa la pena vivere.
Dopo alcuni giorni però non fu soddisfatto, volle in qualche modo rendere onore a quell’antico sorriso che aveva eletto a ragion di vita. E così Lollo, coperto dalla pensione e dalle esigue spese, decise di trascorrere il tempo che gli rimaneva da vivere accanto al semaforo in cui anni prima la donna gli aveva regalato quel sorriso. Avrebbe camminato in mezzo alle macchine in fila e avrebbe sorriso a tutti, indistintamente, per rendere la giornata più leggera a quelli che non avevano più tempo per comunicarsi problemi e sensazioni, perché chiusi nelle loro bare di metallo.
I primi giorni furono parecchio sfortunati, Lollo si muoveva tra paraurti e cofani ed elargiva sorrisi a tutti, uomini, donne, poveri, ricchi, intellettuali, sportivi, ma quelli erano differenti pure nelle reazioni; alcuni ricambiavano il sorriso, altri lo guardavano come se fosse pazzo, altri gli facevano la beneficenza, gli davano mezzo euro per un sorriso che lui faceva invece gratis. I peggiori erano gli indifferenti, quelli che preferivano corteggiare un semaforo piuttosto che godere del sorriso di un uomo solo. E infatti poi scattava il verde e Lollo tornava serio serio tra lo smog, impaziente ad aspettare un rosso che gli avrebbe fatto tornare un sorriso che avrebbe subito rigirato agli automobilisti fermi davanti al semaforo. Col tempo la sua funzione venne compresa, almeno da tutti quei pendolari che lo incontravano ogni giorno, tanto che quando qualche fortunato beccava il semaforo verde senza dover fare file, passava davanti a Lollo e lo salutava con un doppio colpo di clacson.
Un giorno di ordinaria frenesia metropolitana se ne stava serio accanto al semaforo, in attesa che quello diventasse rosso e lui sorridente. Appena scattò il sorriso sul suo volto, si piazzò in mezzo all’incrocio ad attendere che sopraggiungesse qualcuno; improvvisamente una Tigra gialla sbucò fuori dalla curva che precedeva il semaforo, ma anziché rallentare, sembrò accelerare alla vista di Lollo che si voltò rapido a controllare il colore del semaforo e quando si rincuorò di non stare sbagliando rimase in mezzo alla strada fermo e con un largo sorriso. Quello della Tigra, un commerciante di elettrodomestici che Lollo conosceva, non accennò a frenare, superò il sorriso di Lollo, bruciò il rosso del semaforo e andò a cozzare rabbiosamente contro un’altra macchina che impegnava l’incrocio. Lollo sbiancò in volto, si fece serio e cupo nel momento esatto in cui il semaforo da cui dipendeva divenne verde. Ma la Tigra era già passata. Fortunatamente non ci furono feriti, le due macchine erano però distrutte e il conducente della Tigra, il commerciante, si rifiutò di fare il CID e di assumersi la responsabilità dell’incidente, si scagliò anzi contro Lollo e lo indicò a tutti come il vero responsabile di quanto era accaduto. Arrivarono i carabinieri, fecero rilevamenti e grazie alla testimonianza dell’edicolante non poterono fare altro che dare la colpa alla Tigra che era passata col rosso senza dare la precedenza. Il commerciante non si diede per vinto e chiamò Lollo in causa continuando a sostenere che la colpa dell’incidente fosse sua. Ci fu un processo al Tribunale civile, Lollo dovette difendersi dalle accuse che gli venivano rivolte e dovette pagare un oneroso avvocato che lo assistesse. Il commerciante dichiarava di essere stato tratto in inganno dal sorriso di Lollo, lo aveva interpretato come un chiaro segnale di via libera. Lollo dovette spiegare al giudice tutta la storia che lo aveva portato ad affiancarsi al semaforo nella gestione del traffico; gli raccontò del sorriso della donna, delle sue tristi vicende familiari (su consiglio dell’avvocato difensore), della sua volontà di regalare sorrisi agli automobilisti imbottigliati nel traffico. Il commerciante ribadiva la sua estraneità, disse che per dirigere il traffico era necessario qualcosa di convenzionale, sempre uguale e sempre quello, come un semaforo, non serviva un uomo lunatico, a volte sorridente, a volte serio. Chiedeva quindi che Lollo si facesse carico delle spese dell’incidente e che gli fosse proibito di avvicinarsi a quel semaforo in futuro. Al giudice quel giorno non sembrò di dover decidere su una questione banale anzi, aveva l’impressione che la sentenza di quella causa fosse molto più importante di altre che aveva deliberato nella sua lunga carriera. Da una parte non poteva che dare ragione al conducente della Tigra, Lollo si era in qualche modo sostituito ad un semaforo, legge alla mano era contravvenuto ad un preciso regolamento del codice della strada. Dall’altra parte era rimasto affascinato e colpito al cuore dalla vicenda di Lollo, dal suo spirito umanitario di regalare sorrisi ad altre persone. La seduta andò avanti per ore e ore, furono raccolte prove, altre testimonianze, il giudice cercò in tutti i modi di salvaguardare l’operato di Lollo, ma non voleva neanche macchiare la sua carriera con una sentenza ingiusta, visto che nessuna legge, nessun articolo era a suo favore. Dopo un’assenza superiore alla norma, il giudice ritornò in aula per deliberare; “Alla luce di quanto ascoltato e di quanto è scritto nel Codice civile alla voce “Regolamentazione del traffico cittadino”, dichiaro il signor Lollo non colpevole di quanto accaduto. Il signor Gismondi, conducente della Opel Tigra, ha dichiarato la necessità di “qualcosa di convenzionale” che regoli il traffico; tuttavia, ascoltando le testimonianze si è appreso che il qui presente signor Lollo adottava un comportamento convenzionale, seppur fantasioso nella regolamentazione del traffico presso l’incrocio nel quale si è verificato il sinistro. Sorriso uguale semaforo rosso, volto serio uguale semaforo verde. D’altronde lo stesso signor Gismondi ha ammesso di aver interiorizzato questa pratica dopo aver incrociato il signor Lollo numerosissime volte. Il Gismondi ha inoltre ammesso di aver interpretato male il sorriso del Lollo, scambiandolo per un invito ad andare. In qualità di giudice della Corte dichiaro dunque il signor Lollo non colpevole. Mi impegnerò anzi in modo che il semaforo in questione venga abbattuto e la sua funzione di regolamentazione del traffico sia sostituita dalla figura del Lollo, con le sue convenzioni e i suoi sorrisi di rito. Impongo però un cambiamento; il sorriso equivarrà alla luce verde, il volto serio alla luce rossa. Con queste nuove convenzioni gli automobilisti che si appresteranno ad impegnare gli incroci verso gli uffici o verso qualsiasi altra meta saranno rincuorati dalla breve visione di un sorriso. Così è deciso, la seduta è tolta!”
Alla lettura della sentenza i due contendenti si avviarono verso l’uscita, Lollo sorridente porse la mano al Gismondi in segno di pace; probabilmente quello capì male, o forse troppo bene, comunque sul volto di Lollo arrivò da destra un pugno che il Gismondi giustificò dicendo di non averlo potuto controllare: “Tu mi hai porto la mano ma quella si è fermata perché io ero serio, semaforo rosso. Tu invece sorridevi; sorriso uguale verde, la mia mano è passata!” disse sogghignante.
“Sì..” rispose malconcio Lollo, “però la tua mano andava comunque troppo veloce!”.
L’incidente sul volto di Lollo, a differenza di quello per il quale si era litigato aveva fatto un ferito e il giudice testimone dell’accaduto assolse la mano del Gismondi per eccesso di velocità ma condannò lui per lesioni volontarie con l’aggravante dei futili motivi; la sua intemperanza fece una brusca frenata e fu arrestato immediatamente, tanto che dovette trascorrere una settimana nera nel buio di una cella insieme ad altre facce scure prima di tornare a sfrecciare davanti ai nuovi e verdi sorrisi della città.

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