Incontro con Hiroshima.
Terra, silenziosa terra,
terra di silenzio,
dalla pelle bruciata, dalla nuda statura,
Hiroshima, perdonami.
Perdona ogni passo che sfiora una tua piaga
che rompe una tua cicatrice,
perdona ogni sguardo,
anche lo sguardo carezzevole
che ti fa male,
perdona le parole che sconvolgono l’aria
in cui cerchi i tuoi figli
perduti per sempre.
Non c’è tomba: vento, vento, vento…
E la loro voce risuona,
ogni giorno più fioca,
solo nella memoria.
Non ci sono cimiteri, non ci sono.
Se vuoi piangere,
non puoi stringere fra le braccia
neppure un’urna, neppure una bara.
Dove sono i tuoi bambini,
Hiroshima? Forse
nell’oceano d’argento indifferente,
forse nella fossa infinita
del cielo, forse
in questa stessa terra
che il mio piede calpesta.
C’è tanta paura in ogni mio passo.
Ogni palmo di terra nasconde
una presenza mortale,
mi sembra che la terra
dove il mio piede si posa
gridi: Madre!
O lucido cielo, dammi le ali
per essere leggero come te,
per sollevarmi e volare nell’alto
come un angelo,
per non toccare coi miei passi
le tue ferite.
Ma dalle sue mille ferite sfolgorando,
Hiroshima s’approssima,
con dolcezza s’inchina e mi fa cenno:
Amico vieni, guarda quello che accadde,
quello che trovi, e racconta.
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