In morte di Philip Roth. Dietro le singole, isolate, tastiere…
Una volta fuori dalla natura non prenderò mai più
La mia forma corporea da una qualsiasi cosa naturale,
Ma una forma quale creano gli orefici greci
Di oro battuto e di foglia d’oro
Per tener desto un Imperatore sonnolento;
Oppure posato su un ramo dorato a cantare
Ai signori e alle dame di Bisanzio
Di ciò che è passato, che passa, o che sarà. B. Yeats – Sailing to Byzantium
Nel giorno della verità, 22 maggio 2018, scomparso il grande scrittore americano Philip Roth, 85 anni, molti dei quali dedicati alla scrittura, appaiono lontane e quasi fastidiose le polemiche che accompagnarono sempre la sua candidatura al Nobel per la Letteratura con l’accusa nemmeno tanto velata di maschilismo e misoginia (con una smorfia, neppure un sorriso, avrà accolto la notizia della non assegnazione del premio per il 2018 dopo le accuse di molestie a carico di Arnault, marito di un membro della Accademia, la nemesi (che tristezza) colpiva ancora).
I suoi lettori restano orfani, d’un padre, fratello, amico, sodale (qui ci sta la bella copertina Einaudi di Patrimonio con i Roth a ‘cascata’) di quelli che conoscevano il mondo prima di questo mondo: buone dosi di cultura, letteraria e politica, la comodità d’un buon paltò e d’una buona caffetteria dove sedere con lo sguardo che potesse vagare oltre le vetrate, e guardare indisturbati il passaggio della gente sui marciapiedi, il traffico della strada e, in lontananza, il verde d’un parco centrale, più silenzioso delle vie, eppure perfettamente integrato nella vita cittadina. Perchè indagare con lo sguardo è il primo lavoro dello scrittore e quello per cui pena di più a costo d’essere giudicato e tacciato malevolmente…
Una vita della quale faceva parte il lavoro di scrittura, stare alla scrivania, leggere molti quotidiani, un tempo autorevoli, ed essere un minimo borghesi per quello che poteva riguardare una certa forma dell’apparenza, ma senza esserlo mai nella sostanza, quindi alzandosi dalla sedia di scrittore per andare a guardare da vicino ciò che accadeva a Praga o passare del tempo con Primo Levi che Roth sovrastava con la sua giovanile posa beat. E poi scrivere di uomini e donne e di tipi più o meno onesti, più o meno malati di sesso, più o meno riluttanti a vivere o a morire; l’attenta lettura dei tipi umani di Roth avrebbe fugato le inutili accuse di sessismo e di misoginia, eventualmente da rivolgere anche alla costruzione dei personaggi di genere maschile, allora, di cui tratteggia caratteri al limite della sociopatia. È nelle pieghe degli incontri meno evidenti dei suoi romanzi che s’annidano i personaggi più interessanti: donne infermiere del corpo e dello spirito, anziani di grande dignità amici del padre del protagonista, donne con famiglia mai state di nessuno. (Sarebbe interessante un elenco ufficiale di donne che se la sentano di negare che le donne siano interamente anche quelle descritte da Roth nei suoi lavori).
Non si piange volutamente per Roth, lascia un’opera sulla quale poter tornare per anni (ecco davvero cosa resta oltre le foto dal volto scavato degli ultimi anni e la stessa fierezza intelligente dello sguardo ‘dell’animale morente’), ma le lacrime rigano quiete le guance nell’apprendere la notizia, stamattina, a colazione: il caffé fumante, il pane caldo e il profumo della pioggia che non ci lascia mescolato a quello delle petunie e del lillà che arriva dal balcone…e un pezzetto di morte nel cuore che un altro mondo come quello non s’inventa, crudele e insalvabile come questo, ma per certi versi più curioso e animato da lunghe diatribe culturali, e perciò vitali; dialoghi e discussioni faccia a faccia, quelle prima di questo mondo, quelle che vanno scemando dietro le singole, isolate, tastiere…. (Serena Grizi) immagine web
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