Il vuoto parlar filosofico – (I parte)
“Il vuoto parlar filosofico italiano”, così ammoniva Giorgio de Santillana, riferendosi alla cultura filosofica italiana dominante ai suoi tempi: la prima metà del Novecento. La situazione, oggi, è migliorata, ma ancora quell’incisiva accusa rimane troppo attuale, sfortunatamente per noi lettori, ma fortunatamente per gli autori di quel vuoto parlar filosofico, tramite il quale conquistano cattedre e diritti d’autore.
Distinguo fra due generi di filosofi: quelli che ‘cercano nelle parole’ la chiave della spiegazione del mondo e quelli che, invece, si ‘servono delle parole’ per esprimere la loro spiegazione del mondo. Questi ultimi sono in genere i filosofi che traggono spunti per le loro riflessioni dalla scienza o, meglio ancora, quelli di cultura ‘completa’, non deformata dall’appartenenza all’una o all’altra delle due culture (umanistica e scientifica) dei “crani limitati dei portatori d’acqua e degli operatori culturali”[1]. Molti grandi filosofi del passato erano di tal razza. Ma non è di questi che voglio parlare, bensì dei primi, i filosofi che amano (o forse possono soltanto) attingere il loro pensiero dal mito, di cui è straricca la poduzione letteraria (e in parte anche pseudo-scientifica) dell’antichità, classica e orientale. Sono i filosofi ‘dotti’, le cui acrobazie verbali possono essere seguite in rocambolesche avventure del pensiero soltanto da altrettanti ‘dotti’, ai quali non è richiesta l’intelligenza delle cose, alla luce della logica e delle “sensate esperienze” di galileiana memoria, ma soltanto ricordare le fantastiche e assurde concezioni che gli antichi avevano sul mondo e sull’uomo. In quei racconti primordiali, in quelle visioni mistiche e poetiche (sublimi se prese come tali), quel tipo di filosofi preferisce (o può soltanto) cercare la spiegazione più recondita delle cose, anziché nei fatti, nelle osservazioni, nell’esperienza sotto la guida della ragione. A volte, si può essere affascinati dalle fantasmagorie di parole che i filosofi sermocinali si compiacciono di sciorinare nei loro attacchi di logorrea acuta, che possono dare un piacere paragonabile a quello che si prova in quei gradevoli spettacoli di suoni e luci che allietano le noste serate estive. Ma quando poi ci si chiede: – Che cosa ha detto?-, non si riesce a rispondersi, forse perché in realtà l’autore voleva soltanto giocare con le parole, come un bravo prestigiatore con i fazzoletti colorati e il coniglio che per ultimo estrae dal suo cilindro magico, per strappare l’applauso finale del pubblico, che si compiace di aver raggirato. Forse, voleva soltanto impressionare il povero lettore, di lessico meno ricco del suo, intimorirlo, farlo inginocchiare di fronte all’altare di tanta erudizione, porlo psicologicamente nella condizione subordinata di sentirsi tanto cretino, da essere obbligato ad accettare tutto docilmente, senza opporre resistenza. Quanto diversa è l’onestà intellettuale e umana di chi, invece, fa del desiderio di capire, e di ‘far capire’, la missione della sua vita e l’anima dei suoi scritti, contro la disonestà intellettuale e l’arrogante ambizione di potere di chi, con i fumi della sua boria dottrinale, ha per unico scopo innalzare se stesso sull’altare della Verità!
C’è chi ancora, in buona fede, per esempio, ritiene ‘profondo’ interpretare il rapporto sessuale fra uomo e donna richiamandosi al mito platonico dell’essere originario circolare, diviso in due metà da Zeus[2], per punirlo della sua ribellione agli dei , o evocando suggestive fantasie cosmiche: “L’’io’ e il’ tu’ avvertono di muoversi, anzi di ‘essere mossi’ l’uno verso l’altro da distanze cosmiche, da tempi mitici inimmaginabili. L’esser convenuti da spazi ed ere incommensurabili in un unico, definitissimo punto procura la ferma vertigine che afferra i pellegrini dell’assoluto, non importa se si tratta di mistici o di amanti.[…] Ognuno, infatti, nell’amore, è assoluto per l’altro.”[3] Parole bellissime, d’ampio respiro poetico, ma possono veramente aiutare a capire il meccanismo dell’amore nell’uomo? Ma crediamo veramente che esista anche soltanto una coppia d’amanti (di qualunque età, estrazione sociale e culturale) disposta, oggi, a pensare, pur nell’estasi del rapporto sessuale, di “‘essere mossi’ l’uno verso l’altro da distanze cosmiche, da tempi mitici…”? Non è più utile, per capire le ‘cose d’amore’, cercare spiegazioni meno poetiche, ma più plausibili per l’uomo d’oggi, che è l’uomo della società tecnologica, a dispetto di quanti, a parole, esprimono nostalgia per un passato remoto visto, senza alcuna giustificazione reale, come l’Arcadia dello spirito umano, ma che, nei fatti, continuano ad usare il telefonino che viola la privacy, l’automobile che inquina, Internet che aliena dai veri rapporti umani, che naturalmente disprezzano come demoni estranei a quel mondo favoleggiato? Non sono più ‘verosimili’, rispetto ai fatti che osserviamo, per esempio, le spiegazioni psicobiologiche di neurofisiologi come Candace B. Pert[4], avvalorate dalle ripetute e attente sperimentazioni che hanno condotto alla scoperta delle ‘molecole di emozioni’ e a ipotesi più realistiche, per i nostri tempi, dei meccanismi che sottendono i rapporti sessuali fra uomo e donna? E’ vero, abbiamo, anche se permeati di mentalità scientifica, qualche resistenza interiore ad accettare in pieno tale nuovo meccanicismo biologico, ma forse perché siamo ancora troppo legati, nel nostro DNA, a quell’idea di spirito con cui per millenni l’uomo ha frettolosamente e arrendevolmente (perché altro allora non poteva fare) confinato tutto ciò di cui non riusciva a trovare una spiegazione chimico-fisica, cioè concreta, reale, perché fisica e chimica hanno appena qualche secolo di vita, mentre il mito, la leggenda, la favola, la fiaba sono vecchi quanto l’uomo. Fra mille anni, se la scienza progredirà con gli attuali ritmi, probabilmente l’uomo troverà ‘naturale’ quelle spiegazioni che oggi a noi ripugnano perché ‘aridamente materialistiche’, e non comprenderà più il significato della parola ‘spirito’, che per noi invece è ancora il sancta santorum di tutto ciò che di migliore c’è e ci può essere nell’uomo.
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[1] Piergiorgio Odifreddi, La guerra dei due mondi. In: C. P. Snow Le due culture, Marsilio Editori, Venezia 2005, p.131.
[2] Platone, Simposio, XV, XVI.
[3] Mario Trevi, Sesso, erotica, amore: una possibile geometria. In: AA.VV. L’amore, Mazzotta, Milano 1992, pp. 28,31.
[4] Candace B. Pert, Molecole di emozioni, Tea, Milano 2005.
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