“Il Vajont di tutti, riflessi di speranza”: il teatro civile a (quasi) sessant’anni dal disastro…
IL VAJONT DI TUTTI – RIFLESSI DI SPERANZA scritto e diretto da Andrea Ortis
INGRESSO GRATUITO – fino a esaurimento posti
Ing. Carlo Semenza Michele Renzullo
Tina Merlin Selene Demaria
e con
Elisa Dal Corso, Mariacarmen Iafigliola, Jacopo Siccardi
scene Gabriele Moreschi
luci Virginio Levrio
visual Mariano Soria
arrangiamento musicale Francesco Cipullo
regia Andrea Ortis
Il Vajont di tutti, riflessi di speranza. È un progetto teatrale, scritto e diretto da Andrea Ortis, dai risvolti didattici interessanti e coinvolgenti perché rappresenta da una parte un racconto storico-documentale dell’Italia degli anni 40-50-60, un viaggio sulla nostra umanità, sui dialetti del nostro paese, sulle differenze come risorse, dall’altra è una rappresentazione reale degli accadimenti processuali relativi alla vicenda che colpì il 9 ottobre 1963 la terra a confine tra la provincia di Belluno e quella, al tempo, di Udine. Questo allestimento teatrale rende attuale un racconto che, seppur parte della storia d’Italia, intercetta moltissimi elementi di affinità con l’oggi. Spesso dietro queste tragedie vi sono combine, affari, storie di nascondimenti, in questo il Vajont è assolutamente assimilabile ad altri disastri avvenuti in Italia nel corso degli anni. Sarno, Ustica, Viareggio, fino alla triste vicenda di San Giugliano di Puglia, sono solo alcuni dei punti più bui e dolorosi della nostra storia. Sì, perché si tratta della nostra storia, della storia di tutti noi, coinvolti nell’impegno di rendere memoria e “attori” complici affinché quanto successo non si ripeta. Ma “Il Vajont di tutti” è anche e soprattutto un racconto di speranza e forza, una storia fatta di gente che decide di andare avanti. Ogni uomo nel racconto della propria vita ha, prima o poi, a che fare con il dolore, qualunque esso sia, ed in quell’attimo, in quel momento sta all’uomo scegliere e decidere se fermarsi o andare avanti.
Il narratore fa entrare il pubblico in una specie di viaggio nel tempo, avvincente e zeppo di tensione. Il suo racconto è intervallato dalla presenza in scena di 2 ambienti differenti, lo studio dell’ing. Carlo Semenza, responsabile del dipartimento di idraulica della SADE e progettista della diga del Vajont e la casa di Tina Merlin, unica giornalista dell’epoca a lottare strenuamente a fianco delle popolazioni montanare deboli e, assolutamente, calpestate nei diritti. L’uomo del presente, il narratore, entra ed esce dal tempo, utilizzando un linguaggio corporale ed espressivo dinamico, vivo, aggiornato, rimandando sempre lo spettatore al proprio vissuto, coinvolgendolo direttamente nelle diverse fasi del racconto, appassionandolo all’esperienza di ogni giorno. Lo spettatore è così immerso che diventa parte del racconto stesso con le proprie emozioni, con il proprio vissuto.
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