Il vaiolo al tempo di Voltaire
…e non si poteva sperare neanche di sfuggire al contagio, visto che su cento persone novantacinque ne venivano colpite…
Edward Jenner
Il vaiolo, prima della vaccinazione introdotta da Jenner nel 1798, da cui deriva essenzialmente la stessa che viene praticata ancora al giorno d’oggi, era uno dei più grandi flagelli che potessero affliggere l’umanità; basti pensare all’epidemia che nel 1723 fece ventimila vittime a Parigi, quasi il 4% della popolazione. Un matematico del Settecento, La Condamine, così riassumeva la questione:
«Su cento persone scampate ai primi pericoli dell’infanzia, tredici o quattordici sono portate via da questa malattia e un ugual numero ne reca su di sé il triste marchio per tutta la vita: ecco dunque su cento persone ventisei o ventotto testimoni che provano che questo flagello distrugge o degrada un quarto dell’umanità.»
Ecco come il vaiolo veniva descritto da un medico dell’epoca:
«È benigno? Allora il numero di piaghe è inferiore a mille. È maligno? Allora si contano diverse migliaia di piaghe e la probabilità di morte è di una su dieci. Quando si parla di un numero infinito di piaghe, allora il vaiolo è confluente dalla testa ai piedi. Il corpo è come immerso nell’olio bollente e i dolori sono immensi. Con la suppurazione il viso è mostruosamente gonfio e sfigurato, gli occhi sono chiusi, la gola infiammata, chiusa, tanto da non poter inghiottire quell’acqua che il suo rantolo implora senza cessa.»
E non si poteva sperare neanche di sfuggire al contagio, visto che su cento persone novantacinque ne venivano colpite. Come qualche bello spirito affermava, l’unica maniera di evitare la malattia era quella di morire prima per qualche altra causa; restava la consolazione che quando la si avesse avuta una prima volta poi non la si riprendeva più. Il carattere endemico della malattia, con i suoi focolai diffusi e latenti, non permetteva neanche ai ricchi di sviluppare una strategia di difesa, cosa questa che accadeva invece con la peste, da cui si poteva fuggire allontanandosi dalle città colpite, seguendo l’esempio dell’allegra brigata del Decamerone.
Neanche oggi esiste una terapia specifica della malattia; la sua scomparsa ai nostri giorni è dovuta solo alla massiccia opera di prevenzione attuata con la vaccinazione di massa in tutto il mondo. L’efficacia del vaccino si basa sul fatto che il vaiolo delle vacche ha un decorso benigno ed è dovuto a un virus molto simile a quello del vaiolo umano. È proprio a causa di questa somiglianza che gli anticorpi generati nell’organismo dall’inoculazione del vaiolo vaccino sono in grado di difenderci dal vaiolo umano.
Però pochi sanno che prima della vaccinazione esisteva un sistema che permetteva una certa forma di difesa dal vaiolo, secondo un metodo praticato nel vicino oriente. Di esso, già nel dicembre del 1713, aveva scritto alla Royal Society di Londra il medico greco Emanuele Timoni:
«Già da vari anni a Costantinopoli, dove si mescolano tanti popoli diversi, il vaiolo viene provocato con l’inoculazione. Come prima cosa bisogna trovare un bambino di buona costituzione colpito da un vaiolo di tipo comune (con pustole isolate). Verso il dodicesimo o il tredicesimo giorno dall’inizio della malattia si aprono delle pustole con un ago (sulle gambe o sulle ginocchia) e si raccoglie il pus in un recipiente apposito. Il recipiente deve essere di vetro o di materiale più puro, liscio all’interno, lavato e sciacquato con l’acqua tiepida. Quando il vaso è sufficientemente pieno, bisogna coprirlo e tenerlo al caldo e l’operatore deve recarsi dove eseguirà l’inoculazione; operando sul paziente in una stanza tiepida, con un ago perfora la pelle in uno o più punti finché non appare il sangue: versa quindi, immediatamente, il pus del vaiolo mescolandolo con cura al sangue che fuoriesce.»1
I membri della Royal Society accolsero la relazione con scarso entusiasmo e la cosa finì lì. Ci voleva qualcuno che avesse l’autorità e il prestigio di una persona altolocata per smuovere le acque, e questa fu lady Mary Wortley Montagu, moglie dell’ambasciatore inglese a Costantinopoli, una donna dallo spirito aperto e attenta ai costumi e alla civiltà di quella regione. Ecco cosa scriveva questa dama a un’amica in una lettera dell’aprile del 1717:
«A proposito di malattie, ti voglio raccontare una cosa che, ne sono certa, ti farà desiderare di essere qui. Il vaiolo, così diffuso e così fatale da noi, qui è stato reso del tutto innocuo grazie all’invenzione dell’innesto (è il termine che usano). C’è un gruppo di donne anziane specializzate in questa operazione. Ogni autunno nel mese di settembre, quando il gran caldo è passato, le persone si informano tra loro per vedere se qualcuno della famiglia ha intenzione di prendere il vaiolo. Organizzano delle riunioni a questo scopo e quando sono tutti assieme (di solito quindici o sedici persone), viene una vecchia con un guscio di noce pieno del pus del tipo di vaiolo più benigno e chiede che le si indichi quale vena deve aprire. La punge quindi con un grosso ago (che non fa più male di un comune graffio) e introduce nella vena tutto il veleno che può stare sulla punta di un ago; quindi lega la ferita assieme a un pezzetto di guscio vuoto. In questo modo apre quattro o cinque vene. I Greci di solito, per superstizione, vogliono queste punture nel mezzo della fronte, sulle braccia e sul petto in modo da formare il segno della croce. Ma gli effetti di quest’uso sono assai negativi perché queste piccole ferite lasciano delle cicatrici. Così, quelli che non sono superstiziosi se le fanno fare sulle gambe o nella parte nascosta delle braccia. I bambini e i pazienti giovani continuano a giocare insieme per il resto della giornata e stanno perfettamente bene fino all’ottavo giorno. Poi viene loro la febbre e devono rimanere a letto due giorni, raramente tre. Di solito non hanno più di venti o trenta pustole in faccia, che non lasciano mai la cicatrice e nel giro di otto giorni stanno bene come prima. Nei punti delle incisioni ci sono delle piaghette che spurgano di continuo durante tutta la malattia e credo che questo giovi molto. Ogni anno migliaia di persone si sottopongono all’operazione, e l’ambasciatore francese dice scherzando che qui la gente prende il vaiolo per passatempo, come in altri paesi si prendono le acque. Non si sa di nessuno che ne sia morto e puoi ben credere che ho piena fiducia nella riuscita di questo procedimento, dal momento che voglio provarlo anche sul mio caro figlioletto. Ho abbastanza spirito patriottico per volermi prendere la briga di portare in Inghilterra la moda di questa utile invenzione, e non mancherei certo di comunicare per iscritto tutti i particolari a qualcuno dei nostri dottori se ne conoscessi almeno uno abbastanza virtuoso da essere disposto ad annullare una fonte così considerevole di guadagno per il bene dell’umanità. Ma una malattia come questa è troppo lucrosa per loro, e tutto il loro risentimento si riverserebbe sull’intrepido che tentasse di porvi fine. Ma, chi sa, forse troverò il coraggio di mettermi in guerra contro di loro. Cogli questa occasione per ammirare lo spirito eroico della tua amica.»2
Lady Montagu conosceva bene gli effetti devastanti del vaiolo, che l’aveva lasciata con il viso butterato e gli occhi senza ciglia. Perciò fece inoculare il vaiolo al proprio figlio di tre anni e, una volta rientrata in Inghilterra, si adoperò attivamente a diffonderne la pratica. Durante l’epidemia inglese del 1721 rese pubblica la notizia dell’inoculazione del vaiolo a sua figlia, e descrisse l’anno dopo in un giornale a grande tiratura il metodo da lei sperimentato.
Voltaire dedicò l’undicesima delle sue Lettere filosofiche a magnificare i successi dell’inoculazione in Inghilterra e ciò non mancò di avere la sua influenza in Francia, in cui diversi medici si dedicarono a questa sperimentazione. Tutto ciò andò avanti in mezzo alle più aspre polemiche, soprattutto dopo qualche sfortunato incidente di percorso, quale quello capitato al medico italiano Giovanni Angelo Gatti, a cui due soggetti, dei cento da lui inoculati, contrassero ugualmente il vaiolo. La polemica assunse però quasi subito delle connotazioni culturali ed ideologiche più ampie e vide schierati da una parte il gruppo degli amici di Voltaire e dall’altra i nemici dei philosophes. I fautori dell’inoculazione scesero in campo con tutto il loro armamentario scientifico e dialettico; in questa occasione vennero messi in opera per la prima volta metodi statistici atti a valutare l’efficienza di un ritrovato in medicina, ad opera soprattutto dei matematici La Condamine e Daniel Bernouilli.
Lo stesso La Condamine riferì di quanto aveva visto nel corso di una spedizione scientifica in Amazzonia, dove un missionario aveva salvato coll’inoculazione numerosi indigeni che stavano per essere decimati dal vaiolo; e Voltaire commentò, col suo solito sarcasmo: «Loro gli sono debitori allo stesso tempo della vita presente e della vita eterna: che dono per dei selvaggi!»
La Condamine era il vero tipo di progressista animoso e polemico. Pubblicò ben tre memorie sull’inoculazione, coniando una specie di efficacissimo slogan: «La natura ci decimava, l’arte medica ci millesima». E non barava troppo, visto che gli storici attestano una mortalità degli inoculati variabile tra il 2% e il 0,5%. Egli morirà poi, da par suo, nel 1774, per un’operazione chirurgica a cui si era sottoposto per poterne fare una relazione all’Accademia.
Il partito dei contrari ottenne una prima vittoria quando il Parlamento di Parigi promulgò l’8 giugno del 1763 una specie di moratoria, che metteva in quarantena la pratica dell’inoculazione, in attesa che le facoltà di teologia e di medicina si pronunciassero in proposito; la cosa non mancò di suscitare i lazzi e i motteggi di Voltaire. Però un anno dopo questa decisione fu revocata.
Una vera svolta avvenne dopo la morte di Luigi XV, anche lui illustre vittima della malattia, che fu accompagnato in questa sua sorte da ben dieci di quei cinquanta fedeli cortigiani rimasti contagiati soltanto per aver attraversato la galleria di Versailles. Per ironia della sorte, quando questo re aveva solo diciotto anni, i suoi medici avevano scambiato una banale affezione eruttiva per vaiolo, e perciò egli non aveva ritenuto necessario sottoporsi all’inoculazione. Dopo la morte del re i soliti bene informati diffusero le voci più inverosimili sulla maniera con cui il vecchio sovrano aveva contratto la malattia. La versione più pittoresca si trova in un libro di pettegolezzi sulla vita della contessa du Barry, l’ultima bellissima amante ufficiale del re, pubblicato appena un anno dopo la morte del sovrano, ovviamente a Londra, dove né la censura né la polizia francese potevano arrivare. Secondo questo libro, il re soffriva da tempo di oscuri presagi di morte e di paure di quell’aldilà a cui la sua vita peccaminosa lo destinava; per sottrarlo a questa funesta melanconia, la cerchia della du Barry, avendo notato che «il Re aveva visto con ammirazione e concupiscenza la giovanissima figlia di un falegname, la si fece venire, la si lavò a fondo e la si profumò, per introdurla nel letto di quell’augusto dissoluto». Purtroppo la ragazzina era già in preda a quel vaiolo di cui sarebbe morta qualche giorno dopo. Altrettanto irrispettosi furono i parigini con una canzonetta in cui si diceva pressappoco che quello che in vent’anni non aveva fatto la grosse vérole (la sifilide, di cui si diceva che il re fosse affetto) aveva potuto in dieci giorni la petite vérole (il vaiolo).
Il nuovo re Luigi XVI e i principi suoi fratelli pensarono bene di farsi proteggere dal male con l’inoculazione che, come abbiamo visto, in Francia non godeva di buona stampa; ci fu subito chi ne approfittò per far ricadere la colpa di questa infausta decisione sulla nuova regina Maria Antonietta, che proveniva dalla corte di Vienna, dove la pratica era diffusa da tempo. La notizia di questa inoculazione dell’intera famiglia reale produsse un sensibile calo delle azioni della Compagnia delle Indie Orientali, per le disastrose conseguenze politiche che avrebbe potuto causare la morte in contemporanea di tutti gli eredi al trono. Passato il periodo critico, l’intera nazione tirò un sospiro di sollievo e il re, reduce da un tale successo clinico, rese obbligatoria l’inoculazione per i giovani a carico dello stato, come i paggi di corte e gli allievi delle scuole militari. Si stima che durante il regno di Luigi XVI le inoculazioni siano state sulle settantamila, mentre per l’Inghilterra si parla di duecentomila, cifre certamente irrisorie rispetto alla diffusione del male. Anche in Italia gli intellettuali dell’epoca sostennero una vera battaglia in favore dell’inoculazione: Pietro Verri se ne fece paladino su il Caffè, il Parini scrisse un’ode, intitolata «L’innesto del vaiolo», pubblicata per la prima volta nel volume redatto dai migliori ingegni del luogo, dal titolo Lettere sul vaiuolo.
Nell’America del Nord si distinsero i farmacisti chirurghi Robert Sutton e suo figlio Daniel, che si misero ad inoculare interi villaggi alla volta, proprio per ridurre il pericolo di trasmettere il morbo a soggetti non ancora trattati. Daniel Sutton, alla fine della sua carriera ebbe a dichiarare di aver inoculato ben quarantamila soggetti, di cui erano morti solo cinque; si tratterebbe in questo caso di una percentuale di mortalità dello 0,01%, ben più incoraggiante delle stesse dichiarazioni di La Condamine.
La grande svolta si ebbe quando Jenner riuscì a dimostrare che ci si poteva immunizzare dalla malattia facendo ricorso all’inoculazione di un morbo non mortale per l’uomo, il vaiolo vaccino. Come Jenner ebbe a dichiarare molti anni dopo, le sue ricerche erano proprio partite da quanto gli aveva detto una contadina contagiata dal vaiolo vaccino: «I cannot take small pox, for I have had cow-pox,»3 frase che riassumeva l’opinione diffusa presso molti allevatori. Merito innegabile di Jenner è però quello di aver sottoposto a rigorosa verifica sperimentale questa idea.
Ecco come Luigi Sacco, medico italiano e grande pioniere della vaccinazione antivaiolosa, riassumeva i precedenti storici nel suo Trattato di vaccinazione. Con osservazioni sul giavardo e il vajuolo pecorino, pubblicato nel 1809, in cui il termine vaccino sta a indicare il vaiolo vaccino: «Già da lungo tempo nell’Inghilterra settentrionale sapevansi che chiunque veniva attaccato da questa espulsione [i.e., il vaiolo vaccino] restava per l’intero corso della vita preservato dal contagio del vajuolo umano. Quantunque però si avesse tal notizia, essa rimase sempre infruttuosa. Di ciò fa testimonianza lo Smith; e sono da trent’anni che il dottor Archer osservò attaccate dal vaccino due ragazze nello spedale di Londra senza ritrarne alcuna utile conseguenza.
Adams anch’egli comunicò al pubblico alcune osservazioni su questo proposito, ma come semplice tradizione. Nel 1768 Sutton e Fowler chirurghi insigni a Torbury, sedotti dalla credenza popolare furono curiosi di verificare la cosa; innestarono il vajuolo in molti di quelli che ebbero il vaccino senza poterlo appiccare giammai. Presentarono i risultamenti delle loro esperienze alla società medica: il fatto sembrò troppo singolare per essere creduto; quindi non se ne fece alcun conto. Quello che poi sorprende di più si è, che i due innestatori abbandonarono eglino pure lo scioglimento del problema.
Era riserbato a Jenner l’indagare il fenomeno e trarne un’interessante scoperta, ricavandone il mezzo per salvare la specie umana dal vajuolo. Innestatore di questo nella provincia di Gloucester sua patria osservò che in molti de’ suoi innestati non si manifestava il vajuolo. Meditando sopra questo fenomeno, e sapendo anch’egli per tradizione, che coloro i quali avevano avuto uno sviluppo di vaccino per il conversar frequente con le vacche non erano più attaccati dal vajuolo, sospettò che la causa unica degl’innesti mancati si dovesse direttamente ripetere dall’azione del vaccino. Né s’ingannò; imperocché egli ebbe ognora de’ riscontri certi onde convincersi che i suoi innestati infruttuosamente di vajuolo, tutti a diverse epoche della loro vita erano stati per alcune combinazioni attaccati dal vaccino. Ciò bastò all’uomo di genio per concepire il gran disegno di salvar l’uman genere dal vajuolo. Interrogò la natura in diversi modi, e questa sempre fedele rispose alle sue voci. Si provò ad innestare il vaccino in molti individui, e l’osservò nel suo corso regolare e costante: appresso innestò in loro il vajuolo, ma inutilmente: rinnovò le prove per più e più riprese, e sempre riscontrò che tutti gli attaccati dal vaccino restavano per sempre immuni ed illesi da qualunque contagio di vajuolo. Ecco in qual maniera giunse Jenner a fare una scoperta tanto preziosa.»
Un ostacolo alle ricerche di Jenner era stato il fatto che il vaiolo vaccino faceva la sua apparizione con relativa rarità, rendendo così difficile reperire il materiale con cui operare. Perciò quando i medici cominciarono a usare il suo metodo ebbero le loro difficoltà; il medico italiano Luigi Sacco, avendo scoperto nel Varesotto un gruppo di vacche malate, le seguì nella loro transumanza nell’autunno del 1800, onde cogliere «il momento favorevole di raccogliere la materia, inzuppandovi diligentemente le fila».
Ma, nonostante queste difficoltà, l’uso della vaccinazione di Jenner si diffuse con una velocità inimmaginabile per quei tempi. Se nel 1800 in Francia si avevano ancora ottantamila morti per vaiolo, si arrivò, grazie alla diffusione della vaccinazione, ad averne solo ottomila già cinque anni dopo.
Un altro problema era costituito dalla difficoltà di trasportare la linfa vaccinale per un lungo viaggio, almeno fino a quando non fu messo a punto il vaccino secco; ma ci fu anche chi rimediò a questo usando una catena di vettori umani, come avvenne nella spedizione di Francisco Xavier de Balmis, che il 30 novembre del 1803 si imbarcò con 22 bambini da vaccinare, l’uno con le pustole del precedente, per far arrivare il vaccino fino alla Nuova Spagna. Del resto anche nella civilissima Francia si ricorse per lungo tempo al bambino portatore di vaccino, visto che è solo nel 1865 che si riuscì a mettere a punto la cultura di vaiolo vaccino originale sulla giovenca.
Valmont
1 Citata in Anne Marie Moulin e Pierre Chuvin, Introduzione a Mary Wortley Montagu, Lettere orientali di una signora inglese, Il Saggiatore, Milano 1984, pp. 64-65.
2 Mary Wortley Montagu, Lettere orientali di una signora inglese, Il Saggiatore, Milano 1984, pp. 161-163.
3 «Non prenderò mai il vaiolo, perché ho già avuto il vaiolo vaccino.»
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