Il terrorismo islamico nel mondo (Prima parte)
(Prima parte)
La mattina dell’11 settembre 2001, alle 8.45, i newyorkesi udirono a un tratto un jet dell’American Airlines volare molto basso sulla città……..Il resto è ormai storia. Fin da subito fu chiaro che le responsabilità della tragedia (migliaia di morti: il peggiore attacco terroristico della storia, fino ad allora) andavano attribuite ad Al Qaeda, l’organizzazione terroristica capeggiata da un dissidente saudita, il miliardario Osama bin Laden. Questi aveva già da tempo e più volte giurato di lanciare attacchi devastanti contro l’Occidente, reo a suo dire di interferire negli affari interni dei Paesi mediorientali e, soprattutto, di appoggiare la politica anti-araba di Israele. Un primo attacco alle “Torri Gemelle” (prese di mira, non a caso, in quanto simboli del potere commerciale e dei valori essenziali alla base dell’American Dream: duro lavoro e conseguente successo) era stato già portato più di 8 anni prima, sempre dai terroristi islamici: esattamente il 26 febbraio del 1993. Un attentato ai sotterranei, di minore entità, che tuttavia era costato 6 morti e ben 1042 feriti. C’erano stati, poi, gli attentati esplosivi del 1998, alle ambasciate americane in Kenya e in Tanzania (224 morti). Insomma: l’America aveva elementi più che sufficienti per stare in allerta e guardarsi alle spalle. Peraltro, malgrado le avvisaglie (anzi, i pesanti “avvertimenti”), nessuno avrebbe mai potuto concepire uno scenario dove terroristi-kamikaze arrivassero a dirottare aerei di linea per scagliarli addirittura contro i grattacieli. Ci voleva una mente criminale dotata di fantasia cinematografica, da apocalisse, da film di fantascienza. Erano anni che Al Qaeda sognava e progettava un disastro del genere. Nata a Khartoum, in Sudan, inizialmente era “solo” un gruppetto dilettantesco di estremisti; ma dopo il trasferimento in Afghanistan, verso la metà degli anni Novanta, il gruppo si era allargato, accentuando l’efficienza operativa e vedendo aumentare la propria disponibilità di mezzi e seguaci, fino a trasformarsi in una vera e propria organizzazione professionistica, una multinazionale del terrorismo globalizzato. L’organizzazione cominciò a reclutare fedeli sostenitori in ogni parte del mondo: volontari disposti a commettere terribili atrocità, finanche ad immolarsi (come esaltati kamikaze), in nome dell’Islam e della jihad (la “guerra santa”) contro il “grande satana” occidentale. Si tratta in genere di giovani di media istruzione e levatura, mossi da una disperata voglia di vendicare la morte di qualcuno o un’offesa ricevuta dall’esercito israeliano. Reclutati dai militanti, passano qualche settimana nei “campi” dello Yemen o del Pakistan, dove vengono sottoposti a un intenso indottrinamento religioso (in pratica, il “lavaggio del cervello”), per poi trascorrere il periodo di addestramento vero e proprio, nei “campi” dell’Afghanistan. Lì, tra le montagne desolate e polverose, imparano a usare le armi, a dirottare aerei e autobus, a operare sequestri di persona, a far saltare ponti, a conquistare e tenere edifici, a installare videocamere segrete, a scrivere e analizzare cianografie, a sviluppare pellicole, a stendere rapporti sugli obiettivi…Insomma: un corso universitario accelerato di guerriglia urbana e terrorismo. La presenza di questi campi di addestramento in Afghanistan ha precise radici storiche, che risalgono all’invasione sovietica del 1979. Fu allora che migliaia di giovani musulmani giunsero in Afghanistan per combattere la “guerra santa” al fianco dei loro “fratelli” mujaheddin. Per oltre un decennio furono pedine nello scacchiere della guerra fredda: sostenuti, addestrati ed equipaggiati dagli americani, in funzione anti-sovietica. Ma poi, con la fine della guerra fredda, lo scopo del sostegno venne meno e i militanti afghani, non più utili, vennero brutalmente abbandonati al loro destino. Altamente politicizzati e carichi di fanatismo religioso, essi restavano in cerca di nuovi nemici da combattere. Per questo bin Laden decise di spostare in Afghanistan la base operativa di Al Qaeda (fra l’altro questo termine arabo significa proprio “la base”): non c’era miglior posto o terreno più fertile per arruolare nuovi adepti, dirottando la loro feroce carica distruttiva contro lo stesso Occidente che qualche anno prima li aveva formati. Essi credettero ciecamente a bin Laden, come mastini aizzati dal padrone, quando questi indicò negli USA l’origine di tutti i loro mali. Bin Laden esercita un potentissimo controllo psicologico sul popolo afghano: la gente ha paura di lui anche solo a sentirlo nominare. Sono innumerevoli i combattenti talebani soggiogati dal suo fascino misterioso da leader, e dunque a lui fedeli, pronti a tutto, pur di sostenerlo. Così come sono molti in tutto il mondo, purtroppo, i musulmani estremisti che guardano a lui come a un eroe, un nobile vendicatore: che lo ammirano mentre sfida, in nome dell’Islam, la Grande Potenza mondiale dinanzi alla quale tutti, viceversa, si inchinano adoranti. (Fine della prima parte)
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