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Il tempo secondo Bergson

Il tempo secondo Bergson
Maggio 10
02:00 2008

Henry BergsonPer molto tempo sono state dominanti le concezioni tradizionali della storia e del tempo, essendo essa intesa come racconto di eventi che hanno segnato l’evoluzione della società civile e politica nel pieno rispetto dell’ordine cronologico. Henry Bergson, filosofo che vive a cavallo tra ‘800 e ‘900, osserva come il tempo, inserito all’interno di una concezione sia lineare che circolare, sia stato pur sempre espresso e spiegato in termini figurati, ovvero rappresentato come una linea e collocato in un campo, quello dello spazio, che non gli è proprio. Per la meccanica lo spazio diviene, in effetti, una determinata misura del tempo, tanto che si parla di uno spazio o lasso di tempo. Ciò che non è necessario per la coscienza, la quale vive in modo immediato nel presente integrando la memoria del passato e l’anticipazione del futuro. Egli riprende il concetto di tempo spazializzato o unità spazio-temporale ipotizzato da Einstein per poi contrapporvisi partendo dalla considerazione dei fenomeni interni in via di formazione e dunque dello sviluppo continuo dell’io. Nell’Essai sur les données immediates de la conscience del 1887, il cui titolo originario Temps et realité esponeva i due temi fondamentali trattati, Bergson spiega come il tempo della coscienza sfugga all’espressione nello spazio. Discerne il tempo spazializzato della scienza dalla durata della coscienza o tempo dell’esperienza concreta, per la quale ogni istante è qualitativamente e quantitativamente diverso giacché per essa, diversamente dalla meccanica, il tempo non è reversibile: l’io “reale” o “concreto” cresce sull’esperienza concreta dell’istante precedente, ma non può tornare indietro; esso coglie il tempo in un continuo fluire di momenti che si compenetrano l’un l’altro in un’unica durata “reale”. Accezione bergsoniana, quella attribuita ai termini “reale” e “irreale”, esattamente contraria a quella assegnata dal senso comune. Nella Evolution créatrice elabora una visione globale della realtà della vita e supera l’evoluzionismo di Spencer, che pure rispetto a Darwin aveva avuto il merito di porre la sostanza delle cose nel cambiamento, adducendo una memoria organica, oltre a quella della coscienza, per cui neppure la vita biologica può ripetersi in maniera identica dal momento che cresce in maniera irreversibile. Lo Spiritualismo di Bergson supera contrastando il Positivismo per il suo ridursi all’analisi della realtà esterna dei fatti materiali e la sua incapacità di esaminare i dati della coscienza e quindi la realtà interna dello spirito, dati che egli nega di trasporre nella dimensione esteriore dello spazio quantitativo. A differenza di Descartes, per lui lo spirito e la materia, dunque l’anima e il corpo, non sono distinte, ma due poli della stessa realtà. Nello stesso contesto si colloca l’atteggiamento culturale dell’intuizionismo di Bergson, secondo cui l’intuizione è atto conoscitivo immediato come l’istinto e consapevole come l’intelligenza. Essa svela il tempo “reale” ovvero ci fa entrare in contatto con l’essenza della vita e lo spirito delle cose, che consiste per l’appunto nella durata della coscienza. Ciò che ne consegue è una visione storica nuova, che guarda all’evoluzione creatrice dell’uomo e allo sforzo libero dell’io concreto nel suo passaggio all’atto. Un’evoluzione della mente in quanto simbolo dell’evoluzione della storia dell’intera civiltà.

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