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Il teatro di Sabbath, mettere in scena la vita

Il teatro di Sabbath, mettere in scena la vita
Agosto 12
09:04 2012

Titolo: Il teatro di Sabbath
Autore: Philip Roth
ISBN: 9788806172961
Editore: Einaudi
Prezzo: € 12,50  e-book disponibile € 6,99

Chissà quante pagine richiederebbe parlare estesamente di un libro come questo scritto nel 1995 ed uscito in Italia nel 2006 con la mirabile traduzione di Stefania Bertola; 479 pagine di pura esistenza, anche quella fatta di passioni e sentimenti che nascono sotto il punto vita e della quale pochissimi scrittori ‘viventi’ sono autorizzati a parlare senza straparlarne. Michey Sabbath è uno speciale tipo di burattinaio, con un suo teatro di strada non autorizzato.

Nella Grande Mela degli anni ’50 mette in scena le sue commediole con l’aiuto delle sole dita, che poi diventeranno artritiche, fino a prendersi, giovanissimo, una condanna per atti osceni in luogo pubblico. Prima di questi eventi Sabbath, da qualche parte, è già morto dentro…è stato nel ’44 quando la guerra si è portata via Morty, fratello maggiore appena ventenne che lo amava teneramente, e che ha portato con sé anche la pace di casa. Da quel primo orrore Sabbath scappa che ha appena sedici anni per andare incontro al resto…dopo la condanna sparirà anche la sua prima moglie, la bellissima greca Nikki e lui si rifugerà fra le montagne nell’immaginaria Madamaska Falls. Qui nuova vita con la seconda moglie che era già la sua amante a New York, una donna satura di ferite interiori, qui troverà un’amante croata con cui condividerà anni di piaceri perversi, e giù mille altre storie intrise di umorismo sottile e senso del ridicolo che tratteggiano un personaggio carico di umanità dalla accezione più bassa a quella più alta in un affresco impagabile (all’inizio si controlla la data di uscita del libro perché Sabbath sembra il fratellino di Portnoy, per poi accorgersi presto che qui la storia è molto diversa). Sabbath non ha morale per poter difendere la propria, è disumano per essere umano al cento per cento, è bugiardo, ladro e mascalzone della peggior risma nei confronti di un mondo che non è meglio di lui per poter infine mantenere tutte le promesse fatte… a se stesso, a chi ama, a chi lo ha amato: quelle promesse che si sanno senza essersele mai dette prima, che si riconoscono come tali nel momento in cui le si mantiene. Tornerà da un suo certo viaggio di fuga con uno scatolone che trabocca di ricordi e di vita, se stesso avvolto nella bandiera, correndo in auto verso la morte (da darsi) o una vita da ripromettersi ancora. Roth canta questo suo strano amore per l’America, per la libertà dell’individuo e di pensiero, pur non risparmiando frasi come «anche in America esistono più vie d’uscita che coltelli…» descrivendone a profusione tutto il repertorio puritano e perbenista che, come sa bene l’autore, è anche patrimonio mondiale. Esistono per Roth i perdenti dopo questo ennesimo eroe? Probabilmente sono coloro che per ottenere ciò che la società ritiene siano i simboli del successo, non riescono mai ad essere, anche per un solo giorno della loro breve vita, se stessi, a caricarsi l’enorme bagaglio di umanità che è l’uomo. Sempre solo, perciò eroico, davanti alla vita. E alla morte. (Serena Grizi)

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