Il tatto poetico dell’essere
Al primo contatto con la poesia di Armando Guidoni non sapevo quasi niente del suo autore. Dico quasi in quanto le scarse informazioni, dovute piuttosto a certe circostanze extra-letterarie, mi erano arrivate dal comune amico, il poeta, il narratore e il saggista Aldo Onorati: troppo scarse per farmi una minima idea sulla natura del suo profilo poetico.
Leggendo, poi, e anche traducendo dalla sua imponente antologia recentemente ricevuta, dal titolo di una semplicità ingombrante, Gocce di emozioni, le prime impressioni mi hanno condotto fra le colonne – reperibile tramite la loro fastosità – della poesia delle Penisola galoppando per le pieghe della memoria sulla linea oramai canonizzata che ha la base in Dante e le cime senza confini in Leopardi e Ungaretti.
Il dettaglio, inavvertito prima, della professione basilare dell’autore – un prestigioso scienziato – seguita con una vocazionale passione lungo una carriera di una vita mi ha offerto non solo un indizio intellettivo, più che utile, bensì delle chiavi, disperse e contemporaneamente fondamentali nel decifrare l’itinerario identitario della natura di una poetica che sfugge alle comuni classificazioni.
Non so, non sappiamo, se e come potrebbe entrare la Poesia nel quadro classificabile di una “professione”. Emersa sotto l’incidenza della vocazione – il tradizionale “talento” di cui non si parla più oggidì – la poesia ha percorso per secoli una sfidante mappa geo-grafica e geo-fisica (se si accetta quest’ultimo termine concettuale nel significato aristotelico della physis e cioè di natura); dagli orfismi pindarici e dalle proiezioni lucreziane alle incantazioni leopardiane passando per gli inni campanesi, di Campana certamente, o alle sillabazioni essenzializzate ungarettiane, la poesia acquista la figura di una trama penelopiana senza fine e senza margini. In questa prospettiva la poesia di Armando Guidoni assume una sorta di rifiuto programmatico di tanti sperimentalismi odierni, postmoderni e non solo, e si configura decisamente fuori moda, non senza un appena dissimulato gusto polemico: niente delle impudiche esercitazioni millenariste, distribuite con leggerezza nel magma del derisorio, a volte oltre licenzioso, ma un acutissimo senso della semplicità, nel significato schilleriano del termine; una poesia di sferzanti notazioni, vuoi sensazioni non-mediate del vissuto, se si potrebbe dire, in vivo, vuoi visioni, prendendo, spesso, forme apodittiche che conducono il discorso lirico ad un livello di pura essenzialità.
Una poesia, come suggerisce lo stesso Aldo Onorati, nella sua consistente introduzione alla raccolta che presentiamo al lettore romeno, che fluttua fra una “tematica legata all’impegno scientifico che Guidoni ha seguito per un’intera vita in ambito lavorativo” e il “tema dell’introspezione proiettata… all’oggettività universale, per cui parlando di sé, l’autore parla dell’uomo in sé”. Una poetica atipica quasi in tutta la sua stratificazione onto-formale, passando da una impostazione sinergica organica uomo-cosmo, vita interiore-mondo esterno (donde aporetica intimismo-natura naturans), e tutto distribuito in un panorama di nuclei sintetici fino ai sottratti di “pillole” liriche che coinvolge ragione e sensi, mente e anima, mondo e corpo e così via, pedalando, non senza un gusto sapienziale, sull’impegnarsi del lettore nel concreto lavoro poetico: da testimone, come l’autore stesso si autodenuncia, di tutto il vissuto in persona, ma anche da visionario che, non obliando il passato, pur in veste di bambino, ambisce una appropriazione di un futuro malformato da una profonda crisi, pur senza tralasciare quella mirabile onda di ottimistica fedeltà che subentra nella condizione umana da sempre.
In effetti, la vera sfida della poesia di Guidoni mi pare consistere nella formula che definirei colla sequenza espressiva di un tatto poetico dell’essere. Ovvero, heideggerianamente, dell’Esserci.
una cascata di emozioni!
fantastico