Il “talento sprecato” o la mercificazione del talento
In passato qualcuno mi ha rimproverato di avere sprecato il mio “talento”, di aver dissipato il mio ingegno e le mie qualità nell’arte della scrittura. È probabile che abbiano un po’ di ragione. Tuttavia, mi piacerebbe capire che cosa significhi “sprecare” un talento. Si intende, per caso, non saper sfruttare il talento creativo per fare soldi, ottenere successo e roba del genere? Ma da quando chi scrive bene riesce ad arricchirsi in un mondo come il nostro? In un’economia di mercato i profitti si ottengono solo vendendo merci ed i soldi si fanno con i soldi… degli altri! Se un talento fosse mercificato, nel senso di essere trasformato in una merce e, come tale, venisse messo in vendita sul mercato, ci sarebbero discrete probabilità di guadagnare, ma in realtà solo le briciole sarebbero destinate allo scrittore (a meno che non si tratti di Umberto Eco), mentre gli utili maggiori andrebbero a finire nelle tasche degli editori, i padroni assoluti dell’industria culturale. Nell’odierna società mercantile e consumista di massa, la cultura, l’arte, la poesia, la letteratura, sono vere e proprie merci da vendere e comprare, fanno parte integrante dell’industria culturale e dello spettacolo, sono talvolta esposte in televisione, in un salotto televisivo. In un mercato capitalistico i valori e i talenti in campo artistico e creativo, sono rinnegati, misconosciuti, umiliati, la qualità viene svilita per favorire altre proprietà, di tipo economico, ossia le caratteristiche di una produzione commerciale, come un manufatto che può essere venduto più facilmente, che gode del gradimento del pubblico e, pertanto, è fabbricato su scala industriale. Il sistema capitalista tende ad esaltare non i talenti e i valori autentici, bensì seleziona e premia altri prodotti cultuali, che assecondino le esigenze del mercato e del profitto, gli interessi materiali ed affaristici che non hanno nulla da spartire con la vera arte, l’estro creativo, l’intelligenza critica, la libertà del pensiero, la preparazione intellettuale e lo studio, la maestria. Sono convinto che, se per ipotesi nascesse un nuovo Dante Alighieri, un nuovo Giacomo Leopardi, un nuovo Michelangelo, insomma un nuovo genio dell’arte, o della poesia, probabilmente si farebbe già fatica a scoprirlo e a lanciarlo sul mercato, e nel caso si arrivasse a pubblicarne le opere, non riuscirebbero a riscuotere il meritato successo, mentre si continuerebbe a concedere spazio alle solite baggianate che si vendono a iosa. In altri termini, nel nostro tempo e nella nostra società non c’è spazio per il mecenatismo a favore dei grandi talenti dello spirito umano e non si potrebbe mai sviluppare un nuovo Rinascimento artistico e culturale pari a quello che rese splendido il periodo tra la metà del 1400 e la metà del 1500, poiché non godrebbe del supporto dei sponsor finanziari, degli editori e produttori televisivi, dei manager dell’industria e del mercato della cultura. Su questo punto non ho alcun dubbio, purtroppo.
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