Il senso religioso
La formazione della personalità nel bambino inizia fin dalla nascita. Sulla formazione della religiosità durante la prima infanzia le posizioni degli studiosi sono diverse: alcuni sostengono che, nel bambino, essa è innata, oppure la considerano come una risposta derivante dalle sue esigenze psicologiche; altri, invece, propongono la tesi secondo cui il “bisogno religioso” dipende dallo “stimolo religioso” ambientale. L’evoluzione della religiosità si colloca in un processo psicologico durante il quale si evidenziano – partendo da una disponibilità religiosa inconscia – le successive differenziazioni degli atteggiamenti e della condotta religiosa. Il bambino intuisce, sia pure in modo ancora indistinto, il senso di fiducia, amore e soddisfazione che gli deriva dalla tenera accoglienza e dalle cure della madre, che lo condizioneranno in maniera positiva nella sua futura vita affettiva e religiosa. Al contrario, in un rapporto madre-figlio negativo, il bambino accumula valenze aggressive, diffidenza e refrattarietà nella costruzione del senso religioso. Tuttavia, non si può affermare che la religiosità del bambino derivi soltanto dal sentimento filiale, ma si può dire che questi ne è influenzato positivamente o negativamente, poiché la condotta dei bambini è soprattutto imitativa e consiste nell’adeguarsi a norme ed atteggiamenti proposti dagli adulti. La religiosità infantile presenta tre peculiarità, ossia l’antropomorfismo – che equivale alla visione umana di Dio che il bambino immagina proiettando su di Lui le caratteristiche dei genitori, a cui contribuisce anche l’iconografia religiosa – il magismo, ovvero la tendenza ad impossessarsi di forze superiori, mediante riti, al fine di dominare e governare la realtà a proprio vantaggio e l’animismo, la tendenza spontanea, presente ancora oggi nei popoli primitivi, ad attribuire vita alle cose inanimate che ci circondano, dalle quali si può essere puniti o protetti. Durante la fanciullezza, il ragazzo passa da un pensiero di tipo intuitivo ad uno di tipo logico, acquisendo una migliore capacità di introspezione e distaccandosi poco per volta dalla propria orbita egocentrica, riuscendo, in questo modo, ad intravedere la diversità che esiste tra Dio e le proprie rappresentazioni, tra Dio e i propri genitori; è la fase in cui nella vita del ragazzo qntrano nuove realtà e nuove dimensioni sociali tra cui l’istituzione religiosa e le persone di “Chiesa”, che tuttavia egli tende ancora ad identificare con le figure parentali. Soltanto nell’adolescenza l’esperienza sociale travalica il nucleo familiare per cercare al di fuori di esso i punti di riferimento e confronto: l’adolescente si rende autonomo per raggiungere un’indipendenza morale e razionale – respingendo quanto aveva precedentemente accettato e imitato passivamente – e riconoscendo soltanto ciò che acquisisce attraverso la propria convinzione. Questa evoluzione non avviene serenamente: infatti l’aumento delle pulsioni sessuali e aggressive, dovute a motivi biologici, l’accresciuta capacità logica e critica insieme all’apertura culturale, provocano in ogni adolescente una crisi il cui effetto è una fede oscillante tra sicurezze e incertezze, tra pratiche religiose ed indifferenza. Il risultato può sfociare in posizioni diverse: l’adolescente può giungere ad una nuova religiosità più integrata e personale; all’accettazione passiva e conformista della religione tradizionale o all’indifferenza, all’abbandono, all’agnosticismo se non addirittura all’ateismo vero e proprio. Negli anni della giovinezza, poi, le posizioni religiose si strutturano in modo differenziato in rapporto all’esito della crisi religiosa adolescenziale; vi sono infatti gli “indifferenti”, privi di autentiche motivazioni ed in balìa di un forte individualismo egocentrico, i quali hanno difficoltà a stabilire una propria identità e a trovare un senso al proprio destino. Si tratta per lo più di casi di immaturità psicoaffettiva. Si riscontra, poi, le presenza di giovani che si dichiarano atei, i quali – anche se spesso sono impegnati nella realizzazione di valori umani positivi – escludono ogni trascendenza ed appartenenza religiosa. Causa importante del loro ateismo è sovente una mancata evoluzione della religiosità per cause interne al proprio Io ed esterne, come ad esempio una delusione derivante dagli ambienti clericali o dalle cattive influenze subite. I giovani credenti, infine, sono coloro che trovano nell’appartenenza ad una Chiesa le risposte ad un’esigenza di significato esistenziale. Poiché la religiosità è sempre condizionata dalle problematiche psicologiche, presuppone la maturità dell’individuo; essa non costituisce un settore separato di comportamento, bensì è integrata nella globale struttura psichica. Un adulto maturo è capace di un continuo progresso, sempre alle ricerca di nuove forme di autorealizzazione. Sa applicare il precetto dell’amore “amerai il prossimo tuo come te stesso” realizzando una disponibilità e un impegno autentici verso la società, e la sua condotta corrisponde alla carità cristiana. Ma la religiosità matura significa anche non fermarsi entro i propri confini ed andare al di là del percettibile. Quando la religiosità si incontra ed aderisce ad una religione, si concretizza in fede: la religione è infatti un mezzo per realizzare la religiosità.
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