Il Santuario della Madonna del Tufo
Posto nel versante dell’antico Mons Albanus, il Santuario della Madonna del Tufo deve la sua origine a un lontano episodio ritenuto prodigioso, documentato dai dipinti che vi si trovano all’interno. Su quella vetta i popoli della Lega Latina prima, i Romani poi, si recavano al tempio di Giove Laziale, fulcro di unione e luogo di culto. L’oblio e la decadenza – anche di Cabum, dove sorgeva il collegio dei sacerdoti cabensi – sopraggiunsero con l’avvento del cristianesimo, in parte diradandosi intorno al iv secolo, quando fu edificata una minuscola chiesa dedicata a San Pietro, come ricorda papa Pio II nei Commentarii.
Dopo il Mille, il luogo dell’antica Cabum riapparve citato in documenti che attestavano che quel Castrum de Rocce de Papa passò di mano in mano a diverse famiglie baronali, conteso anche dal papato per la sua posizione strategica e per il patrimonio boschivo che la circondava. Fu ineluttabile per gli abitanti di quel villaggio il ruolo di vassalli, sottomessi e costretti a servire il padrone di turno, deprivati di ogni diritto sulle loro terre.
Intorno alla fine del 1400, da quel monte, poco distante dal villaggio di misere casupole si staccò un masso di tufo, che precipitando lungo il versante stava per travolgere un cavaliere. Narra la tradizione che una disperata invocazione alla Madonna bloccasse la corsa dell’enorme pietra vulcanica, che rimase incredibilmente sospesa sul pendio. Sul luogo venne edificata una cappellina e Antoniazzo Romano, rinomato artista dell’epoca che stava realizzando affreschi nella chiesa dell’Abbazia di Palazzola, vi dipinse la Vergine e il Figlio. Circa due secoli dopo, un restauro male eseguito deturpò l’opera e l’autore, un certo Flaminio Santovetti, fu condannato per la sua incompetenza a sei mesi di prigione.
Luogo mèta di pellegrinaggi
Grande era la devozione popolare: da tutti i Castelli i fedeli giungevano in pellegrinaggio per invocare grazie. Dagli inizi del 1700 a metà dell’Ottocento, anche grazie alle offerte dei fedeli, numerosi furono i lavori di ampliamento: fu realizzata la facciata del piccolo Santuario, posta la croce all’esterno, sistemata la via in terra battuta che conduceva al paese.
Nel 1872, il 18 agosto, con una solenne cerimonia e grande partecipazione popolare, l’immagine della Madonna fu incoronata dall’arcivescovo Edoardo Howard.
È dal 1892 che i Padri Trinitari accolgono i fedeli nel Santuario. In precedenza era stato affidato alla parrocchia del SS. Crocifisso, nel centro storico rocchigiano, e successivamente alla parrocchia dell’Assunta. Prima di giungere là nel Settecento i religiosi si trovavano nel convento di Monte Cavo, abbandonato dopo circa vent’anni, e successivamente affidato ai Padri Passionisti che vi restarono fino al 1889. Nel 1845 i Trinitari tornarono a Rocca di Papa, nella chiesa e convento di S. Pietro Nolasco, nell’allora piazza della Mercede – o dei Frati – attuale piazza della Repubblica. Dietro il convento dei Mercedari, c’era l’antico cimitero, entrambi risalenti al 1500. Tra i religiosi Trinitari, che gestirono anche le scuole pubbliche, c’era il concittadino padre Candido Rufini.
Demoliti il convento e l’antica chiesa, i Trinitari si trasferirono definitivamente nel monastero della Madonna del Tufo. Prima di essere ampliato nel 1929, il Santuario si presentava come un minuscolo ninnolo: semplice, con un piccolo campanile.
Trasformazioni recenti
Con le offerte dei devoti e il contributo dell’Amministrazione comunale si procedette ai lavori, che non furono eseguiti come consigliato dagli esperti, tra i quali l’architetto Salvatore Spadaro e il professore Corrado Ricci, Direttore Generale delle Belle Arti: la forma circolare o ottagonale, con il masso di tufo posto in posizione centrale, quale oggetto di venerazione, non venne realizzata e anzi il 15 luglio 1931 la pietra fu rimossa dal punto ove s’era arrestata nel 1400, suscitando l’indignazione dei fedeli. A ricordo fu messa una lapide, sostituita poi con una croce.
Da allora il tufo si trova sull’altare, adornato di marmi policromi, al centro dell’abside. I lavori di ammodernamento hanno sottratto al Santuario il fascino antico e la bellezza armonica che i nostri predecessori avevano contribuito a creare: scomparsi molti ex-voto, il vecchio altare, le lapidi e le cappelline laterali nel tempo sono stati trasformati. In una di queste cappelline c’era la tomba di Anastasia Mechelli, morta il 25 agosto del 1878 a soli ventitré anni. Toccanti i versi che il fratello Riccardo pose a ricordo: Ero giovane e bella e agli occhi il brio / Splendeami ognor fioriami in bocca il riso / Fui lieta sposa e come in un eliso / Parea nulla mancasse al mio desio / Ma tosto in pianto volto il giorno mio… fui come un fiore / Che nasce nel mattino e muor la sera… / Mi sia largo o donzelle il vostro cuore / Una prece e un fior non mi negate.
Ancora oggi il Santuario è meta di pellegrinaggi e i religiosi offrono la loro disponibilità pastorale in convegni, conferenze e attività di apostolato. I fedeli continuano ad affidare alla Madonna del Tufo le loro intenzioni, confidando nella sua grazia. L’emozione e la spiritualità non svaniscono uscendo dal sacro luogo: permangono sul sagrato e nello spazio antistante, che offre ai visitatori un’ampia vista sull’orizzonte, quello stesso che riempì lo sguardo ai nostri antenati, ai pellegrini e all’anonimo cavaliere del Quattrocento.
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