Il Sambuco nero Bello da vedere, buono da mangiare!
Il Sambuco nero è un piccolo albero dal portamento espanso che cresce lungo i corsi d’acqua della Valle del Treja e, in generale, su terreni aperti particolarmente umidi. In questo periodo è facilmente riconoscibile per le grandi ombrelle di fiori bianchi che numerose rivestono la chioma tra maggio e giugno. I frutti sono delle drupe, dapprima verdastre e, successivamente, a
maturità, nero violacee. Si tratta di una pianta ben nota, perché da sempre utilizzata sia per la preparazione di medicinali, sia per uso alimentare. In campagna era frequente raccoglierne i fiori per farne delle frittelle molto aromatiche, mentre le bacche sono ancora oggi ricercate per sciroppi e marmellate.
Antichi ricettari ricordano l’aceto bianco di sambuco, ottenuto semplicemente facendo macerare per due settimane un pugno di fiori ben appassiti nel vino. Le stesse infiorescenze seccate, messe in infusione nel vino, gli conferiscono un eccellente gusto di moscato, l’aggiunta di salvia rende la contraffazione ancora più ingannevole. Ma fino al tardo Ottocento in Inghilterra, Danimarca e Svezia era noto e apprezzato il vino di sambuco. Con le bacche mature, invece, si dava colore a una pregiata qualità di Porto.
Solo vino? No, con le ceneri di sambuco le belle romane si facevano biodi i capelli. Anche il legno era ricercato. Ancora recentemente il midollo di sambuco era infatti impiegato nella costruzione di strumenti di laboratorio e in modellistica e, andando ancora più indietro, nella costruzione di strumenti musicali. Dai suoi fusti, svuotati del midollo, anticamente si ricavavano zufoli modesti, o veri e propri flauti. Erano strumenti leggeri, usati dalle donne, le flautiste, le sambucistrie dalle dita sottili raffigurate con tanta vivezza nei vasi attici. Con il legno stagionato venivano fatte piccole arpe triangolari: le sambuké, il nome greco che ci riporta al nostro sambuco.
Roberto Sinibaldi
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