Il restauro del Castello di Piglio
Nel contesto dell’attuale generale e sistematica distruzione del patrimonio ambientale della nostra regione, e in particolare del Lazio centro-meridionale, un posto di spicco è senza dubbio occupato dalle opere di restauro degli edifici d’interesse storico ed artistico. Restauri quasi sempre poco accurati, talvolta addirittura superflui, troppo spesso assurdi e ridicoli. Accanto al problema della proliferazione delle antenne e dei ripetitori e alla vergogna del condono, ci pare incredibile dover accusare pure un’operazione che in teoria dovrebbe essere un fatto di per sé positivo, un’occasione per il recupero e per la valorizzazione delle nostre bellezze storiche, artistiche ed architettoniche. Tuttavia, pare che chi decide tali ‘restauri’ non abbia ben chiaro in mente ciò che, secondo logica, dovrebbe rappresentare un ‘restauro’, e cioè non solo la salvaguardia ma anche il recupero filologico dell’integrità paesaggistica, storica ed artistica di un monumento. Molti dei nostri monumenti, infatti, soffrono ancora dei restauri raccapriccianti del dopoguerra, al tempo certamente giustificabili poiché decretati da motivazioni di emergenza. Oggi però, in una società ricca, post-industriale e consumistica come la nostra, avremmo la possibilità di recuperare i nostri monumenti e l’ambiente in cui essi sono inseriti in maniera senz’altro più accurata e razionale, magari chiedendo il parere di qualche valido storico paesaggista che abbia letto qualche pagina della letteratura del Grand Tour, prima di elaborare i progetti di restauro. Già abbiamo espresso, proprio su queste pagine, la nostra preoccupazione e le nostre perplessità sugli interventi di restauro tuttora in corso al Ninfeo di Genazzano, che hanno già alterato seriamente il sito, e che forse, al termine dei lavori, mostreranno degenerazioni addirittura ulteriori.
Ma non basta. Proprio in questi giorni, un altro monumento della zona sta venendo gravemente modificato. Stiamo parlando del Castello di Piglio, austera rocca d’origine alto-medievale, posta a dominio sulla Valle del Sacco. Chi conosce Piglio, borgo situato sulle estreme propaggini meridionali dei Monti Prenestini, conosce bene anche l’aspetto severo di un castello, piccolo sì, ma assai suggestivo per l’essersi conservato interamente in pietra. Da anni si parlava della possibilità di una sua apertura periodica al pubblico: ciò sarebbe stato assai positivo, anche perché di turisti a Piglio ne transitano molti, sia in quanto rinomato centro di produzione vinicola, sia in quanto passaggio obbligato per chi si reca dai Castelli agli Altopiani di Arcinazzo e alle limitrofe stazioni sciistiche. Il castello li avrebbe accolti, pur senza opere d’arte all’interno, ma comunque con un giardino pensile dal magnifico panorama e soprattutto con un’inconfondibile atmosfera medievale di antico maniero in grigia pietra calcarea. Attualmente il castello è però in restauro. Un intervento che “ similmente al Ninfeo di Genazzano “ si propone di rovinare la stessa suggestività dell’edificio, e cioè il suo aspetto in pietra che, come appena detto, costituisce praticamente l’unica sua vera attrattiva ambientale. Ebbene, la facciata in pietra viva sta venendo completamente ricoperta con la calce, per essere poi ricoperta, crediamo evidentemente, dall’intonaco. Così l’austero maniero in pietra viva, ammirabile fino ad un mese fa, verrà presto trasformato in una specie di palazzina simile ad una meringa. Anche il vecchio tetto sta venendo sostituito con uno dall’aspetto moderno, con un effetto ‘pugno in un occhio’, rispetto al resto dell’abitato che conserva i tetti tradizionali. Ci complimentiamo con l’amministrazione di Piglio e con chi ha diretto i lavori, per aver distrutto l’integrità del suo monumento principale (per non dire del suo ‘unico’ monumento) e per aver contribuito a sfigurare ancora una volta il nostro territorio. Bravi, veramente’Le amministrazioni locali e le soprintendenze capiranno mai che il rilancio del turismo ambientale ed eno-gastronomico (che peraltro costituisce un settore in crescita esponenziale, che deciderà il futuro dei piccoli centri di qui a vent’anni, nonché l’unica tipologia di turismo eco-sostenibile esistente) passa per interventi di recupero ambientale, come la bonifica e la tutela del paesaggio e il ripristino dell’aspetto originario dei monumenti? Se non vogliamo fare sforzi di immaginazione, guardiamo almeno al passato: si pensi ad esempio agli inizi del Novecento, quando vennero effettuate opere di ripristino su monumenti assai alterati da precedenti restauri, come tante chiese romaniche a cui allora venne restituito l’aspetto originario, e che così furono a noi consegnate nella loro autentica bellezza? A quanti lavori ignobili (con annesso sperpero di denaro pubblico) dovremmo ancora assistere, prima che una ‘regola’ così scontata nella tutela del patrimonio ambientale (quella appunto della tutela dell’integrità dei monumenti e del paesaggio) risulti ‘scontata’ anche nella mente di chi attualmente decide? Qualcuno ha mai visto quello che è stato fatto, tanto per fare un esempio eclatante, all’Abbazia di Fossanova (monumento nazionale!), la cui vecchia pavimentazione in cotto è stata sostituita, un paio d’anni fa, con una orribile pavimentazione stile ‘ufficio’? O quello che stanno facendo alla Sala Capitolare della non lontana Abbazia di Valvisciolo (Sermoneta), la cui antica struttura in pietra, anziché essere recuperata, è stata falcidiata dalla calce, con la copertura, per giunta, di graffiti e simboli fondamentali a ricostruire la storia di quel luogo?
Auspichiamo insomma che, ove possibile, si corra presto a riparare ai danni che stanno irrimediabilmente devastando il nostro territorio, bene immenso di tutti e non oggetto senza valore ad arbitrio di pochi incompetenti. E che, nel caso specifico di Piglio, chi dirige e chi ha elaborato il progetto di restauro sappiano che stanno rimovendo un altro pezzo del nostro antico e decantato paesaggio.
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