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Il reddito di cittadinanza 

Luglio 16
10:58 2022

In margine a una considerazione di Matteo Renzi

Ho letto con vivo interesse il libro di Matteo Renzi “Controcorrente” (Piemme ed., 2021, pp. 272, euro 17,90). Ora, non essendo il sottoscritto un politico, non esaminerò le pagine scritte dal personaggio, né entrerò in meriti su cui non sono ferrato. Da lettore, dico che il testo scorre all’impatto, avvince, e spesso “convince” per le documentazioni su cui si regge il discorso generale. Per restare nel mio campo, ho notato una forte capacità narrativa, una scrittura pregnante e chiara, che prende a viva forza l’attenzione del fruitore, fino alla fine del libro.

Ciò detto, entro nell’argomento che maggiormente mi interessa e di cui ringrazio Renzi per averne così coraggiosamente parlato, proponendo anche un rimedio che – spero ardentemente – gli italiani appoggino per il bene della nazione e dell’educazione civica. Leggiamo insieme:

“La cosa che mi fa più male, dell’esperienza con il Movimento Cinque Stelle al Governo, è il reddito di cittadinanza.

Il tempo che abbiamo la fortuna di vivere chiede fantasia, creatività, innovazione. Non sussidi. La scelta di introdurre il reddito di cittadinanza non è stato un tentativo di combattere la povertà, ma di combattere la voglia di fare, specie nel Mezzogiorno. Non è un caso che oggi molti commercianti, ristoratori, albergatori fatichino a trovare personale: col sussidio si prende quasi la stessa cifra e non si fa fatica…

Il Movimento Cinque Stelle ha costruito una indecorosa sceneggiata iniziata con Di Maio che dal terrazzo di Palazzo Chigi urla a una festante folla di parlamentari acclamanti: -Abbiamo abolito la povertà -…

I poveri sono cresciuti, i posti di lavoro diminuiti, la credibilità dei grillini azzerata. Ma ancora oggi molta gente vive di sussidi e non accetta l’idea di trasformare il reddito di cittadinanza in uno strumento che veramente funzioni. Quei denari vanno dati come incentivo al lavoro, non come incentivo a restare a casa sul divano. Per farlo occorre un gesto politico forte. Ecco perché nel 2022 Italia Viva raccoglierà le firme in tutto il territorio nazionale per chiedere un referendum che abolisca il reddito di cittadinanza”.

Bene. Ho riportato i passi salienti. Mi permetto di continuare con alcune considerazioni mie e di tante persone che hanno lavorato l’intera esistenza ed ora hanno una pensione pari – se non inferiore – al reddito di cittadinanza di chi non ha alzato una paglia. Mi riferisco specie agli artigiani, coloro i quali hanno investito sul lavoro, hanno avuto volontà e fantasia, ed alcuni sono riusciti anche a realizzare delle botteghe in cui la possibilità della mano d’opera sfamava due o tre famiglie. I miei amichetti di povertà (parlo del rientro dalla guerra, essendo tutti nati prima del conflitto mondiale), a otto anni erano già messi a bottega per apprendere un’arte. Io studiavo, però i miei mi portavano alla vigna e agli orti, dove ho prestato la mia opera fino ai venticinque anni, cioè fino a quando mio padre non ha venduto i terreni. E Feliciano non mi pagava in denaro. Diceva: “La paghetta diseduca. Devi allenare l’iniziativa”; così mi dava tre barili di vino l’anno (quando ero già adolescente), perché li curassi e me li vendessi da solo per le spese personali. Ricordo che, nel 1955, con alcuni compagni di classe, in certi giorni stabiliti marinavamo la scuola perché alla stazione del treno venivano i convogli-merci pieni di ballette di calce e cemento: cercavano chi li scaricasse portandoli a spalla nel grande magazzino piuttosto lontano dalla ferrovia. Noi ci guadagnavamo quattro lire a carico; tutta la mattina faceva un bel totale.

La Costituzione recita: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”. Con il reddito di cittadinanza si scoraggia l’operosità. Molti pedagogisti sostengono che questo rimedio è un’umiliazione del lavoro, il quale dovrebbe – a dire dei secoli – nobilitare l’uomo. L’etica del reddito di cittadinanza non è positiva didatticamente. Inoltre, abbiamo ascoltato in tv che qualche furbo è stato acchiappato, perdigiorno su moto costose e via discorrendo, il quale, non si sa per quali vie, godeva del mensile. Chi ha voglia di guadagnare di più, si presta a operare in nero. Ma quelli prudenti si contentano di quel bel reddito “caduto dal cielo come la manna di antica memoria veterotestamentaria”, godendosi la libertà di alzarsi tardi la mattina, di non dipendere da nessun padrone, di non faticare. Questa diventerà una cattiva abitudine, che si ritorcerà contro la nazione e creerà scontento da parte di chi ha sudato l’intera esistenza, o ancora è attivo subendo anche lo strazio del pendolarismo (tra le spese varie, alla fine lo stipendio si avvicina a quello degli assistiti).

Si parla di cifre a sei zeri (ci sono tre milioni e seicentomila persone che usufruiscono di tale fortuna), non di bazzecole. Vorrei sapere quanti di questi innumerevoli assistiti sono stati chiamati a un lavoro qualsiasi. Dice il filosofo Antonio Bolettieri: “l’uomo non cerca tanto la felicità quanto invece la giustizia”. Bisogna essere molto cauti prima di accontentare una parte degli italiani e scontentarne un’altra (molto più numerosa).

L’uomo della strada, quello che non ha interessi politici di essere eletto o di restare sulla poltrona, sente lamentele in giro. Insomma, l’etica del lavoro è stata abbandonata. Il lavoro educa alla civiltà, alla collaborazione anche se spesso gerarchicamente: comunque al dovere. Oggi si parla solo di diritti. Il reddito di cittadinanza spegne l’inventiva, perché il lavoro va anche “inventato” se non si ha la fortuna di trovare “il posto fisso”. Il lavoro è regola, è metodo di vita, è costruzione della nazione, è collaborazione attiva e su di esso si fonda la società, in quanto l’uomo non può vivere da solo sull’isola dei sogni, ma ha bisogno degli altri.  Con la pandemia abbiamo toccato con mano la realtà salvifica di un ingranaggio operoso per cui ognuno ha bisogno degli altri. Porto un esempio elementare: se noi mangiamo il pane, lo dobbiamo a una catena quasi infinita di operatori, dal contadino al meccanico che aggiusta le macchine per la semina e la trebbiatura, fino a chi trasforma il grano in farina e poi al fornaio che la notte impasta e lievita il re della mensa. Ma dietro ad ogni sfaccetatura di questo processo, c’è una specializzazione, oltre le industrie dei concimi, i commercianti che portano il prodotto dal terreno fino al compimento del gustoso pane etc. Questo deve dirsi per ogni più banale e ovvia cosa che rende possibile la vita in società: è un ingranaggio di lavoro superbo, è il vanto del genere “homo sapiens sapiens”. Il lavoro dovrebbe essere considerato un imperativo categorico con pari dignità in ogni suo grado. Se in luogo di tanto industriarsi (con le mani e con la mente) sopraggiunge il frutto (lo stipendio) senza alcuna fatica, si rompe questa catena magica spaccando la società in produttori (dal primario al terziario fino alle vette della grande ricerca) e improduttivi (che però guadagnano come se lavorassero). L’assistenzialismo è valido e d’obbligo per chi non è in grado (per gravi malattie o impedimenti fisici etc.) di sostentarsi, purché non truffi lo Stato, perché truffando lo Stato si ruba ai lavoratori (quali essi siano), creando un’ingiustizia vergognosa.   Il guadagno onesto ed operoso è l’orgoglio della persona. Signori, si tratta di un numero molto consistente di assistiti! L’Italia le ha tutte queste risorse? E poi, io sto con i vecchi detti, che sono la saggezza dei popoli. Eccone uno, pertinente alla materia quivi trattata: “L’ozio è il padre di tutti i vizi”.

Caro Matteo Renzi, io non appartengo al tuo partito: per questo il presente articolo penso abbia più credibilità. Ma siccome sono per natura un pessimista della ragione e un ottimista della volontà, da una parte non credo che ce la farai a rimettere le cose a posto (sono troppi gli interessi elettorali sottesi a questa legge), ma dall’altra ti auguro di riuscire a sistemare la regola su cui si basa la nostra Costituzione: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”. Infine, la scoperta continua di “furbetti” di ogni risma che prendono soldi non meritati, dovrebbe far riflettere almeno un po’ coloro i quali difendono a spada tratta questo rimedio, il quale non solo non porta ricchezza, ma non dà nemmeno lavoro!

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