Il re del cinema romano racconta se stesso
Capita di leggere fiumi di parole e poi alla fine di sentirsi delusi e un po’ presi in giro perché tempo e fiducia dedicati alla lettura non sono sempre contraccambiati da informazioni e spunti di riflessione secondo le attese. Questo non avviene leggendo la breve intervista di Marina Piccone al re del cinema romano Luigi Magni, il personaggio attualmente più rappresentativo della romanità dopo Petrolini, Alberto Sordi, Anna Magnani, Gabriella Ferri, la Lupa e Romolo: il regista di “Scipione detto anche l’Africano”, “La Tosca”, “Nell’anno del Signore”, “In nome del papa re”, “In nome del popolo sovrano” e di tanti altri film che hanno fatto la fortuna dei produttori suscitando apprezzamenti e non poche polemiche. Come potrebbe accadere in una chiacchierata davanti al caminetto, Magni ripercorre vicende significative della propria vita privata e professionale inquadrando fatti e aneddoti, spesso poco noti, nei loro contesti storici, politici e sociali dal fascismo ai nostri giorni. Ne viene fuori un affresco con parole che richiama il Pinelli per il modo di rappresentare Roma, quella di una volta, con tratti rapidi ed essenziali in cui spesso i particolari resi con precisione danno il senso, la differenza e la carnalità della rappresentazione. Il regista racconta: “Al tempo della guerra d’Africa facevo le elementari. All’angolo della scuola c’era il “nonnetto” che, seduto al sole vendeva i mostaccioli. Erano dolci di miele, farina e noci, duri come sassi, che a morderli incautamente c’era il caso di farsi saltare un incisivo. Il nonnetto aveva due piedoni infilati in certe pantofole da mago che dovevamo scavalcare per avvicinarci al carrettino dove, tra “rigolizie”, lacci, lecca-lecca, girandole e palline di coccio e di vetro colorato c’erano in mostra le figurine con i ritratti di De Bono, Badoglio e Graziani (…)”. Magni ha Roma nel cuore. Nel 1870 la città diventa capitale. Dalla Toscana e dal Piemonte arrivano i ministeriali. Per dar loro abitazione ha inizio lo scempio edilizio e la mutilazione dell’identità culturale della città: “…Furono costruiti interi quartieri, come l’Esquilino, il Celio e Prati. Il riassetto della città comportò molti disagi ma soprattutto la scomparsa di cose meravigliose, come il quartiere di Aracoeli, distrutto per costruire il monumento a Vittorio Emanuele II, il Porto di Ripetta e la spiaggia del Tevere. Prima della costruzione dei muraglioni, sulle rive del fiume c’era la sabbia, che cambiava colore a seconda della luce del sole. (…) Questo stravolgimento ha causato anche la scomparsa dei veri romani. Quando arrivarono i bersaglieri, gli abitanti della città erano poco più che centomila, preti e monache compresi. Erano tutti poveri, facevano i pecorari o i muratori e non potevano essere impiegati in lavori ministeriali. Così, all’inizio del Novecento cominciarono ad emigrare. Rimasero solamente gli ebrei (…) e i discendenti dei toscani e dei piemontesi. Un’altra cultura, che non ha aiutato Roma a mantenere la sua identità”. Il pezzo forte del libro, edito da Effepi Libri, riguarda la filmografia dell’intervistato che si sofferma su ogni suo film chiudendo definitivamente l’annosa polemica sul suo presunto anticlericalismo: “Nei miei film parlo male (…) di certi preti, mai della religione”. Stesso discorso per “Re Craxi”, non per il socialismo. Suscita emozione sentir parlare il regista di suo “fratello Nino” (Manfredi) e dello struggente legame d’amore che accomunò due fratelli veri, Ruggero e Marcello Mastroianni, facendo sì che il primo, maestro insuperabile nel montaggio cinematografico, appreso che il fratello era gravemente ammalato, si ammalasse a sua volta morendo per primo. Gli episodi che compaiono nel libro comprendono un’ampia carrellata di vita vissuta dai molti personaggi che a livello artistico ed industriale sono stati protagonisti della cinematografia nazionale dal dopoguerra ai nostri giorni. Non mancano infine i riferimenti al Magni sceneggiatore ed anche autore di teatro e al suo esordio nel mondo dello spettacolo. Ricordate la commedia musicale “Rugantino” di Garinei e Giovannini, anno 1962? Magni racconta di esserne l’autore: “ (…) Il produttore decise (…) di vendere il copione a Garinei e Giovannini che si appropriarono della paternità dell’opera (…) per la quale ho ricevuto solo un piccolo compenso. Di diritti d’autore, che sono tuttora ingenti, nemmeno a parlarne. (…) Si trattava di un pedaggio che i giovani apprendisti sapevano di dover pagare per farsi conoscere”. Se ne avete voglia, leggete questo libro. In poche pagine rinfresca la memoria e fornisce tantissime informazioni, anche inedite, suscitando a tratti inattese e intense emozioni.
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