“Il Ratto di Proserpina” di Gian Lorenzo Bernini
Ho visitato per la prima volta la Galleria Borghese in un caldo pomeriggio di giugno. Turista del fine settimana, sono appositamente arrivato a Roma da Firenze per ammirare l’Urbe e le opere conservate in Villa. Sala 1: l’altezzosa Paolina Borghese del Canova. Sala 2: l’austero David del Bernini. Sala 3: il magnifico Apollo e Dafne . Stordito e appagato dalla vista di questi capolavori, credendo ingenuamente di aver appena visto il meglio che la Galleria potesse offrire, in attesa delle meravigliose tele del piano superiore, mi dirigo nella quarta sala. Rimango colpito, ma dovrei dire rapito, se mi passate il gioco di parole, dal Ratto di Proserpina di Gian Lorenzo Bernini. La plasticità scultorea, che pensavo di aver già ammirato al massimo grado nell’Apollo e Dafne, mi si ripresenta decuplicata sotto gli occhi. Benché il gruppo marmoreo abbia un punto di vista privilegiato, quello frontale come è ovvio, da cui si possono comprendere al meglio sia la totalità della scena, sia le peculiarità dei due protagonisti, è girandoci attorno che ne apprezzo ogni singolo aspetto. Un particolare in special modo mi fa pensare al miracolo, quello che anche il marmo possa prendere vita: le mani di Plutone cingono i fianchi di Proserpina con tale realismo che sembra affondino nella morbida carne della giovane, piuttosto che nel duro marmo. Bernini compie il prodigio di rendere animata la materia. Basta questo a ripagarmi del prezzo del biglietto.
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