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Il pu(o)zzo dell’odio

Maggio 04
02:00 2007

La foto è tratta da “La Stampa” (prima pagina del 19 febbraio scorso), sull’ennesima autobomba; il titolo è “Una normale giornata a Baghdad: 63 morti. Un uomo trasporta il corpo senza vita di un ragazzo dopo l’esplosione di un’autobomba in un mercato di Baghdad”. Un padre di famiglia che trasporta il cadavere di un figlio di famiglia. “La propaganda dell’odio” invece, sul fatto della televisione di Hamas quando recentemente ha… “intervistato” i figli di una donna kamikaze, dove il “giornalista” sollecita i bambini a indicare con le mani il numero degli israeliani uccisi dalla madre. Pozzi carsici istriani/pozzi iracheni, passando per la Jugoslavia, i Balcani, guadando il Giordano e attraversando la Palestina, valicando il sacro Sinai e passando magari dal bel profano e mondano porto turistico di Sharm el Sheikh, violentato anche questo dall’odio terroristico: biglietto di solo andata? L’odio etnico tra europei che fu versato nei pozzi istriani (le cui “esalazioni” ancora inquinano), oppure in Jugoslavia, è lontano (molto) nel tempo, ma personalmente fa ancora malissimo come “europeo italiano”. Oggi è relativamente facile parlare di questi e altri terribili e disumani eventi frutto di guerre, battaglie, “attriti” e simili, da porti apparentemente sicuri come questo, per esempio, dei Castelli Romani di inizio 21° Secolo, ma cosa si può fare di più? Oltre (e ora parlo come singola e isolata piccola “persona di lettere e di giornale”) l’esercizio dell’impegno verbale e scritto, magari lanciando durissimi j’accuse! contro i “signori del potere” o della guerra, che risiedono magari nei propri palazzi-templi, o contro questo stile di vita occidentale e settentrionale, che ora indirettamente, e nella dimensione di organismo sociale collettivo, contribuisce alle guerre, all’odio tra i popoli e le genti, e oltre l’impegno fisico e materiale, nei contesti e scenari martoriati, quest’ultimo ora però spesso vanificato da brutalità e disumanità maggiori di quanto ci si aspettasse, o inquinati dall’incompetenza (malafede) della “politica”, cosa si può fare di più? L’odio; l’offesa; il disprezzo; il sistematico dolo o malafede raggiunti oggi ora in modo straordinariamente ordinario verso la vita, umana, verso la dignità e valore delle singole persone chiunque esse siano, raggiunge, in Iraq nel particolare, un livello di insopportabilità e ripugnanza senza precedenti nella storia naturale di quel curioso animale bipede con la targhetta “Homo Sapiens (Sapiens)”. Spaziare oltre è impossibile, salvo sfondare in universi, in mondi alieni a questo in cui viviamo, anzi no, sopravviviamo. Oltre che scagliare, qui dal Vulcano Laziale, parole-bomba piroclastiche su chi gioca con la vita e la salute, e delle persone, dei “buoni padri di famiglia”, dei buoni “cristiani”, cosa si può fare? Possibile che oggi per abbattere i “mostri”, i “cattivi”, bisogna ridursi ad essere e agire in modo ancora più “mostruoso” e feroce di quelli da combattere? Come contrastare gli animali, le bestie, o le “macchine-animali” senza snaturare l’uomo? Leopardi ne La Ginestra, il suo “testamento spirituale” scritto nel 1836, invita l’essere umano alla “rivolta”, ma la vera rivolta, la vera lotta che l’uomo deve ingaggiare è contro la natura crudele che non esita a devastare ogni opera umana con la propria inarrestabile forza. Nell’eterno impari confronto con la natura l’uomo deve avere ben presente la sua debolezza, ma anche la sua dignità. Non deve essere né arrogante né supplice, ma dignitosamente pronto a farsi da parte quando lo strapotere delle forze di natura lo opprima. Prima di quel momento deve consorziarsi con i suoi simili per affrontare i dolori della sua condizione, sostenuto dalla solidarietà dei suoi simili. Charlie Chaplin invece, nel finale del “suo” Il Grande Dittatore, dice semplicemente (a parlare non è il Chaplin-personaggio, ma la persona-Chaplin!): «(…) Vorrei aiutare tutti se possibile (…) Tutti noi esseri umani dovremmo aiutarci sempre. Dovremmo godere soltanto della felicità del prossimo, non odiarci e disprezzarci l’un l’altro. In questo mondo c’è posto per tutti! La Natura è ricca, è sufficiente per tutti noi [il film è del 1940 – n.d.r.]. La vita può essere felice e magnifica!… ma noi l’abbiamo dimenticato. L’avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha precipitato il mondo nell’odio, c’ha condotto a passo d’oca a far le cose più abbiette! Abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi. La macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà. La nostra sapienza ci ha resi cinici; l’intelligenza duri e spietati! Pensiamo troppo e “sentiamo” troppo poco. Più che macchinari, ci serve umanità. Più che abilità, ci serve bontà e gentilezza. Senza queste qualità, la vita è violenza, e tutto è perduto. L’aviazione e la radio hanno riavvicinato le genti, la Natura stessa in queste invenzioni reclama la bontà nell’uomo! Reclama la fratellanza universale! Reclama l’unione dell’umanità (…) un sistema che permette all’uomo di imprigionare e torturare gente innocente! (…) l’avidità che ci comanda è solo un male passeggero! L’infelicità che ci ha colpito non è che un effetto dell’ingordigia umana: l’amarezza di uomini che temono le vie del progresso umano. L’odio degli uomini scompare insieme ai dittatori. E il potere che hanno tolto al popolo ritornerà al popolo. E qualsiasi mezzo usino, la libertà non può essere soppressa. Soldati! Non cedete a dei bruti! Uomini che vi disprezzano e vi sfruttano! (…) che vi irreggimentano! (…) vi trattano come bestie! (…) non vi consegnate a questa gente senza un’anima! Uomini-macchina con macchine al posto del cervello e del cuore! VOI NON SIETE MACCHINE! VOI NON SIETE BESTIE! VOI SIETE UOMINI!!! Voi avete l’amore dell’umanità nel cuore (…) Nel vangelo di San Luca c’è scritto che il regno di Dio è nel cuore di tutti gli uomini, non di singoli o di gruppi (…) un mondo che dia ai giovani un futuro e ai vecchi la sicurezza (…) Combattiamo per un mondo ragionevole, un mondo dove la scienza e il progresso diano a tutti gli uomini il benessere (…) Un mondo in cui gli uomini si solleveranno al di sopra della propria avidità, del loro odio, della loro brutalità».
Il film si chiude con una protagonista in un vigneto, e dove c’è la vite(a) c’è c(o)ultura, non c’è barbarie, e c’è civiltà.

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