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Il partito che non c’è

Aprile 27
08:45 2010

La politica è un confronto, continuo e di rispetto. Diversi, su fronti opposti, divisi nella visione dell’organizzazione sociale, ma rispettosi di un confronto per l’organizzazione dello stato sociale. Questo concetto è stato la base dei fondatori della Repubblica, delle persone, che nel confronto, hanno scritto la Costituzione. Ma la mancanza di alternanza, errore sfociato nella stagnazione dei partiti intrisi nel potere, ha lasciato, nonostante un controllo unitario dell’arco parlamentare, degenerare la violenza degli opposti estremismi, atta a evidenziare la necessità di sostenere le ragioni della vecchia partitocrazia. L’implosione è la conseguenza di lodare se stessi. Dal terremoto di un sistema fondato sulla spartizione e sulle tangenti, ci si aspettava una spinta al “rinascimento dei diritti sociali”. Dalla perdita degli opposti ideali, una nuova base con ideali dell’identità sociale. La cosiddetta Seconda Repubblica non partorì nulla di simile.
Una continua ricerca di aggregazioni del passato, proposti in puzzle con forme indefinite. Ricerca di una poltrona non più ideologica, ma di affermazione dei privilegi maturati in modo particolare negli anni ’70 – ‘80. A questo rispondeva la nascita di una nuova identità politica: un’organizzazione personale dedita alla difesa di interessi, condizione sociale o un posto in prima fila. I cittadini diventano un serbatoio di voti a cui promettere benessere, illusione di una ricchezza debitoria, proposizione della nazionalizzazione dell’Itala nell’era della globalizzazione. Su queste basi si sviluppa il populismo. Il ricco nord (spremuto il sud, le risorse industriali e gli investimenti nazionali) rivendica la difesa della sua ricchezza, di cui la Lega con il federalismo conquista cuori e terreno. Il mondo economico, protetto dai governi Berlusconi (intento negli anni alla difesa dei propri interessi) inizia a spintonare il mondo del lavoro con contratti fantasma, ed un solo obiettivo: lo sviluppo del portafoglio individuale. Il proliferare di organizzazioni pseudo-politiche (se ne contano oltre settanta nelle ultime elezioni) in appoggio al centro destra o centro sinistra, alla ricerca di un ministero, un posto in Parlamento, un incarico, ovvero un posto nella casta politica ovunque esso sia.
Non è un caso se le organizzazioni politiche, spacciate per partiti, portano nomi di persone. I partiti sono solo società con marchio depositato, con un padrone e manager acchiappa voti. E i cittadini? Cercano la salvezza, confidando nelle promesse, in partiti dell’amore contro i partiti dell’invidia. Aspettano, in una sorta di limbo politico, l’avvento del salvatore della patria. Qualcosa si è rotto anche nella Seconda Repubblica (se mai fosse nata), ed in modo particolare nel centro destra. Chi ha contribuito a costruire l’aggregazione politica si è improvvisamente accorto che non c’è il partito, bensì un’azienda proprietà di Berlusconi (che nel bene o nel male ha governato gli ultimi 7 anni su 9).
Anche nel centro sinistra non si scherza, primarie che dimenticano la vita politica, scelte del “meno peggio”, mancanza di coraggio (altrimenti si diventa comunisti, ovvero mangiatori di bambini) per dare spunto alle riforme ed alla modernizzazione del paese in senso europeo. E forse nei partiti più piccoli troviamo il coraggio di dire e fare, ma i numeri non premiano. Non dimentichiamo che l’Italia è una nazione conservatrice, corporativa e, a suo tempo, anche fascista. Se queste continueranno ad essere le posizioni politiche in Italia, non si cambia chiamando la Repubblica “Terza”, “Quarta” o “Quinta” che sia.
Abbiamo sempre sulla bocca gli U.S.A., nel bene o nel male. Ma non riusciamo ad imparare da loro la libertà con cui senatori o deputati esprimono il loro voto, non sempre in linea o a favore del proprio partito. In ogni rappresentante è vivo il rendiconto che deve ai propri elettori, in poche parole ai cittadini. Soltanto i cittadini sono i proprietari dei voti che possono confermare o escludere un uomo politico dalle aule. Un sogno in Italia, la formazione di partiti che aggreghino i cittadini e rendano conto individualmente ai propri elettori, senza che un padrone ne scelga i manager e gli indirizzi personali.

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