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Il Paradiso “virtuale” delle nuove generazioni

Giugno 03
11:43 2009

Sono di questi giorni alcuni fatti di cronaca che ripropongono, in qualche modo, la tremenda questione dell’emergenza educativa dei preadolescenti e dei giovani, così come è stata drammaticamente espressa dal Santo Padre Benedetto XVI alla Diocesi di Roma il 21 Gennaio 2008. «Ho pensato di rivolgermi a voi con questa lettera per parlarvi di un problema che voi stessi sentite e sul quale le varie componenti della nostra Chiesa si stanno impegnando: il problema dell’educazione. Abbiamo tutti a cuore il bene delle persone che amiamo, in particolare dei nostri bambini, adolescenti e giovani … Educare però non è mai stato facile, e oggi sembra diventare sempre più difficile. Lo sanno bene i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti e tutti coloro che hanno dirette responsabilità educative. Si parla perciò di una grande “emergenza educativa”, confermata dagli insuccessi a cui troppo spesso vanno incontro i nostri sforzi per formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita … In realtà, sono in questione non soltanto le responsabilità personali degli adulti o dei giovani, che pur esistono e non devono essere nascoste, ma anche un’atmosfera diffusa, una mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona umana, del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita».
Sul quotidiano Il Mattino del 9 gennaio di quest’anno, a pag. 12, veniva riportata la notizia di una baby gang (il più piccolo ha 9 anni!) che si “divertiva” a far deragliare i treni sulla tratta Milano Varese. Ancora sul Mattino del 30 dicembre dello scorso anno, la notizia di un giovane di 25 anni, ridotto in fin di vita, a Gela, da un cosiddetto “branco” per aver pestato involontariamente il piede di un altro giovane in discoteca. Un ultimo fatto di cronaca, tra i tanti che potrei riportare, è accaduto a Messina ed è stato riportato dal Mattino dell’11 gennaio scorso. Protagonisti, un gruppo di otto quindicenni che, per scommessa, si divertivano a torturare un disabile. In base a questi fatti, che sono solo alcuni tra i tanti, e senza chiaramente voler generalizzare, si potrebbe ipotizzare che le nuove generazioni facciano molto fatica a rendersi conto delle conseguenze delle loro azioni? E’ come se la loro capacità di “ragionare”, che proprio in questa età dovrebbe emergere con tutta la sua forza dirompente e creativa, fosse messa in ombra da forze irrazionali che spadroneggiano nella loro mente. Stiamo certamente parlando di un fenomeno complesso che richiederebbe ben altra trattazione, ciononostante vorrei cercare di approfondire, nei limiti del possibile, una sola delle cause addotte per spiegare questo fenomeno: l’influenza dei nuovi linguaggi sulla mente dei teenager.
Non voglio qui scomodare, più di tanto, l’illustre allievo di Marshall McLuhan, Derrick de Kerckhove, che insegna all’università di Toronto ed è attuale direttore del McLuhan Insitute, che parla di come dall’avvento della televisione in poi si stia assistendo ad una rivoluzione che sta cambiando la struttura mentale delle nuove generazioni «Il brainframe video che si sostituisce al brainframe alfabeto» (Vedi Derrick de Kerckhove, Brainframes, mente, tecnologia, mercato. Ed. Baskerville, Bologna, 1993). Né voglio chiamare in causa il grande politologo italiano Giovanni Sartori, che nel suo libro «Homo videns» (Editori Laterza, 1999), parla appunto del passaggio dall’homo sapiens, che ha come caratteristica il pensiero logico, all’homo videns, che ha come caratteristica il cervello video.
L’ipotesi che questi illustri autori, tra i tanti, avanzano è che i mezzi di comunicazione sociale, sempre più fascinosi e tecnologici, non sono tanto usati per parlare alla mente, ma al corpo. Non sono fatti per nutrire il pensiero razionale, ma per suscitare emozioni, sensazioni. Sono usati, a volte, per creare dei veri e continui uragani emotivi che rendono sempre più difficile la capacità di ragionare tipica dell’essere umano. L’obiettivo, anche se non dichiarato? Trasformare ogni essere umano in un perfetto “consumatore”! Il “pensiero unico” che i mezzi di comunicazione vorrebbero suscitare è : “Consumo, dunque esisto”! (interessante a questo riguardo il libro di uno dei più grandi pensatori moderni, Zygmut Bauman, dal significativo titolo «Consumo, dunque sono» (Editori Laterza, 2008).
L’invito di alcuni spot televisivi a “pensare con il corpo” , la “crisi di astinenza” che coglie molti navigatori, quando “non sono connessi”, potrebbero essere “segni” della verità di queste affermazioni? L’ipotesi, in altre parole, è che i figli dell’era della comunicazione, i cosiddetti “digital native”, fin dalla più tenera età, sono affascinati e ipnotizzati dallo schermo magico della televisione che, troppo spesso, propina loro violenza, sesso, i miti del successo e del potere. Alla magia dello schermo televisivo si sostituisce, in seguito, lo strapotere dello schermo del computer, che, come uno stargate, apre la porta sull’universo strabiliante della rete, dove ogni esperienza sembra possibile, dove emozioni inenarrabili sono promesse, dove ogni desiderio sembra possa essere esaudito, dove una, o addirittura multiple nuove identità, possono essere sperimentate: una sorta di “paradiso virtuale”. Insomma, cari amici, secondo questi illustri personaggi, le nuove generazioni, vivendo con il loro cervello sempre più connesso alla realtà virtuale e sempre meno alla vita reale, non solo perdono il contatto con la vita reale, ma anche con la loro vera, autentica e unica identità. Se questo è vero, allora si capisce la fatica che fanno ad essere logici, ad accettare se stessi e le dure leggi della vita reale e dell’impegno quotidiano. Un impegno sofferto senza il quale nessun traguardo significativo può essere raggiunto. La ricerca affannosa del cosiddetto “sballo”, non è una prova ulteriore del tentativo illusorio di fuggire dalle “asprezze” che la vita reale porta inevitabilmente con sé? La domanda che pongo a me stesso e a voi è: possono quei casi di cronaca, che ho citato all’inizio, essere la riprova dell’enorme difficoltà che trovano le nuove generazioni, nel distinguere il virtuale dal reale, il bene dal male?
Nel messaggio per la giornata mondiale delle comunicazioni sociali dell’anno scorso dal titolo: “I mezzi di comunicazione sociale: al bivio tra protagonismo e servizio. Cercare la verità per condividerla”, Il Santo Padre descriveva i meriti indubbi delle nuove tecnologie per «l’apporto che essi possono dare alla circolazione delle notizie, alla conoscenza dei fatti e alla diffusione del sapere: hanno contribuito, ad esempio, in maniera decisiva all’alfabetizzazione e alla socializzazione, come pure allo sviluppo della democrazia e del dialogo tra i popoli. Senza il loro apporto sarebbe veramente difficile favorire e migliorare la comprensione tra le nazioni, dare respiro universale ai dialoghi di pace, garantire all’uomo il bene primario dell’informazione, assicurando, nel contempo, la libera circolazione del pensiero in ordine soprattutto agli ideali di solidarietà e di giustizia sociale. Sì! I media, nel loro insieme, non sono soltanto mezzi per la diffusione delle idee, ma possono e devono essere anche strumenti al servizio di un mondo più giusto e solidale». Nello stesso tempo però Benedetto XVI metteva anche in guardia dai pericoli che i nuovi linguaggi possono produrre: «Non manca, purtroppo, il rischio che essi si trasformino invece in sistemi volti a sottomettere l’uomo a logiche dettate dagli interessi dominanti del momento. E’ il caso di una comunicazione usata per fini ideologici o per la collocazione di prodotti di consumo mediante una pubblicità ossessiva. Con il pretesto di rappresentare la realtà, di fatto si tende a legittimare e ad imporre modelli distorti di vita personale, familiare o sociale. Inoltre, per favorire gli ascolti, la cosiddetta audience, a volte non si esita a ricorrere alla trasgressione, alla volgarità e alla violenza. Vi è infine la possibilità che, attraverso i media, vengano proposti e sostenuti modelli di sviluppo che aumentano anziché ridurre il divario tecnologico tra i paesi ricchi e quelli poveri».
Dal 19 al 20 Gennaio di quest’anno, a Roma, si è svolto un convegno dal titolo: “Chiesa in rete 2.0”, organizzato dal Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali (Ucs) e dal Servizio Informatico della Conferenza Episcopale Italiana (Sicei). Nel salutare i convegnisti don Domenico Pompili, Direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della CEI, ha espresso, in tre domande, le preoccupazioni e le aspettative della Chiesa riguardo alle nuove tecnologie: «La prima verte comprensibilmente sulla relazione tra virtuale e reale. E suona così: è giusto continuare a contrapporre il virtuale al reale? E d’altra parte in che modo le due esperienze, obiettivamente diverse, possono integrarsi?…La seconda è relativa a questo nuovo individualismo che cresce e che il sociologo spagnolo Castells non ha esitato a definire “networked individualism”…La terza domanda – e qui mi spingo dichiaratamente dentro il contesto ecclesiale – è quella che si muove tra identità e linguaggi. Mi chiedo cioè in che modo è possibile avere in rete una fisionomia riconoscibile senza per questo assumere linguaggi scontati o peggio indecifrabili?». La Chiesa segue attentamente lo sviluppo dei nuovi linguaggi, perché nulla di ciò che è umano le è estraneo. Non a caso il tema della 43ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che il Santo Padre benedetto XVI ha scelto, è: “Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia”. l’Arcivescovo Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, ha così commentato il titolo: «Più che un semplice tema mi pare che il Papa ci ponga di fronte a un vero e proprio programma di lavoro, è un compendio degli impegni e delle responsabilità che la comunicazione e gli uomini della comunicazione sono chiamati ad assumersi in prima persona in un tempo così fortemente segnato dallo sviluppo delle nuove tecnologie mediatiche che, di fatto, creano un nuovo ambiente, una nuova cultura».

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1 Commento

  1. Stefania
    Stefania Febbraio 13, 11:29

    Vorrei rivivere mia madre defunta

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