Il paese delle croci di Gianfranco Cambosu con intervista di Alessia Mocci
«Nuoro è una città strana. Silenziosa e priva di stimoli in apparenza, eppure capace di catalizzare ingegni e forti personalità. Oltre a Grazia Deledda, una donna che ha saputo ritagliarsi uno spazio importante in Italia e nel Mondo, è inevitabile citare Sebastiano e Salvatore Satta, oppure Antonio Ballero e Francesco Ciusa. Scrittori e artisti insomma, accomunati da una ineluttabile appartenenza al territorio, ma in grado di proiettarsi in un panorama nazionale e internazionale.» Gianfranco Cambosu
Il paese delle croci è stato pubblicato nel 2019 dalla casa editrice romana Emersioni forte di tre premi letterari conferiti quando il romanzo era ancora inedito. L’autore, Gianfranco Cambosu è nato a Nuoro nel 1966 e con Il paese delle croci firma la sua quinta pubblicazione. Di professione insegnante di lettere presso il liceo di Dorgali, Gianfranco non colloca i suoi romanzi nel genere giallo e noir benché ci siano omicidi ed indagini ma, piuttosto, ritiene che nei suoi scritti ci sia una storia su cui riflettere, ed è per questo che il lettore incontra un percorso irto di ombre che conducono alla luce.
Ambientato nel paesino di Sas Ruches è un romanzo dedito al dettaglio sia per le minuziose descrizioni dei personaggi e paesaggi sia per le dettagliate conversazioni che rendono la lettura agevole e tutto sommato veloce.
Estratto dall’intervista di Alessia Mocci all’autore
D: Il paese delle croci” è il suo quinto romanzo di genere giallo e noir. Dal primo a quest’ultimo libro ha notato una crescita di carattere stilistico e/o narrativo?
R: il libro è stato pubblicato a distanza di cinque anni da quello precedente. È un giallo “indisciplinato”, nel senso che non si piega rigidamente alle regole del genere. Si parla dell’omicidio di un ufficiale dei Carabinieri, ma a indagare non è un carabiniere o un poliziotto. Le indagini infatti vengono condotte in modo personale da Ercole Cassandra, figlio della vittima, ma insegnante di Lettere di professione. Credo, in tutta onestà, di aver raggiunto una maturazione stilistica che mi ha permesso di affrontare temi che in passato ho solo accennato o comunque trattato in modo marginale. Una componente che ho curato attentamente, senza però eccedere, è l’introspezione. Ho dedicato molto tempo alla stesura di questa storia e ancor di più al labor limae. Ho anche voluto suggerire una possibile componente autobiografica, mentendo. Pure io sono un prof. di Lettere, ma non è di me che si parla.
D: il tuo romanzo segna un’importante connessione a triangolo che ha come base il racconto pubblicato nel 2016 Sas Ruches ed il romanzo del 2008 Pentamerone barbaricino. La congiunzione è il paesino del nuorese Sas Ruches segnato da faide e da odio che dura da generazioni. “Ruches” (traduciamo per chi non conosce il significato) significa precisamente “croci” ed è il più usato dei giuramenti nuoresi: una sola croce (pollice sovrapposto all’indice della destra), dieci croci (mano destra traverso la sinistra), cento croci (incrociando le braccia sul petto). Un insegnante di lettere di sicuro non ha sottovalutato il potere di questa parola scelta come teatro di narrazione. L’abuso del giuramento ha portato alla “maledizione” degli abitanti?
R: Confermo la complessa e articolata simbologia nella quale si colloca il termine “ruches” per quanto concerne la cultura barbaricina. Così come è fuor di dubbio che l’anello di congiunzione fra le tre opere citate è il paesino di “Sas Ruches”, ovvero “Le croci”. Nell’elaborare la trama de Il paese delle croci, tuttavia, ho riflettuto su aspetti di più immediata comprensione. Le croci sono quelle del cimitero sempre più esteso di un paesino che gradualmente sembra svuotarsi a causa dei morti ammazzati. Certamente, senza svelare troppo dell’intreccio, il giuramento ha una funzione determinante. Sin dai primi capitoli lascio intendere che dietro all’omicidio di Francesco Ladu (personaggio che compare solo attraverso le parole degli altri) c’è un mistero. Il mistero di un omicidio a Sas Ruches suggerisce l’idea di una vendetta e questa, a sua volta, si collega a un possibile giuramento. Ma questi passaggi sono più impliciti che scoperti, almeno fino a un certo punto. Per non deviare troppo dalla tua domanda a proposito di una possibile maledizione degli abitanti, devo aggiungere che tra le mie fonti di ispirazione al momento del concepimento della storia c’era stata la riflessione sulle 39 lettere di papa Gregorio I in cui si parla di due Sardegne: una cristianizzata e romana e una interna abitata da popolazioni idolatre e pagane. Solo nel 594 il dux Ospitone, che governava nella parte interna, aveva potuto convertire i Barbaricini al cristianesimo. Però c’era voluto un patto tra quelli e i Bizantini. Insomma ho lasciato al lettore altre eventuali interpretazioni. Una potrebbe essere la violazione di quel patto alcuni secoli dopo (la vicenda è ambientata all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso).
D: Nel classico giuramento narrato la donna soleva anche accompagnare con la formula: “In cussenzia de s’anima” (“in coscienza d’anima”). Qual è il ruolo della donna in questo romanzo pregno di omicidi, persone scomparse e commerci illeciti?
R: Se c’è una componente volutamente ambigua all’interno della mia storia è il ruolo della donna. Placida, gioviale, remissiva in apparenza, è in effetti risoluta e decisionista. Senza voler scomodare il matriarcato in alcuni centri della Barbagia, che è qualcosa di più complesso e profondo, ho voluto tratteggiare in senso introspettivo alcune donne che hanno subìto ma hanno scelto di non piegare il capo.
D: La scelta dell’uso del linguaggio sardo per alcuni dialoghi tra i personaggi è un eccesso di realismo oppure la volontà di far conoscere anche al di fuori dell’isola la musicalità del sardo barbaricino?
R: Il romanzo è stato concepito per un pubblico nazionale. L’uso del Sardo barbaricino in alcune parti della storia (piuttosto limitato nel complesso) risponde alla necessità di dare credibilità a personaggi che, se proposti in modo differente, avrebbero perso di concretezza. Di questa deve essere convinto prima di tutto l’autore. C’è naturalmente anche un discorso di musicalità o di ritmo che cerco di imprimere sia nelle descrizioni che nei dialoghi. Mi pare che l’uso del Sardo, in tal senso, contribuisca bene.
D: Sono in programma presentazioni del romanzo nei prossimi mesi?
R: Gianfranco Cambosu: il 26 gennaio sarò ad Abbasanta (a cura dell’Associazione Culturale CartaBianca) alle ore 16,45, presso l’aula magna di Piazza della Vittoria; il 9 febbraio sarò ospite ad Arbatax presso il Caffè Letterario da Lollo ed il 13 a Macomer. Per entrambi gli appuntamenti l’orario di inizio è previsto intorno alle 18,30. Riguardo alle date da definire, ma con accordi già presi, le tappe previste sono le seguenti: Libreria Emmepi Ubik (febbraio); Dorgali, Sala Consiliare (febbraio); Cagliari, presso l’Associazione Culturale CartaBianca (marzo), Siniscola, Biblioteca Comunale (marzo-aprile), Olbia, Libreria Mondadori (aprile). Ulteriori date in questo momento è difficile indicarle, nonostante siano già previste. Voglio informare inoltre che potrete ascoltare un estratto del mio romanzo sulla web radio Quarta Radio, a cura dell’attore e regista Gaetano Marino.
Facebook Gianfranco Cambosu
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Ascolta estratto – Quarta Radio – Gaetano Marino
https://quartaradio.it/podcast/tre-o-quasi-tre-cronaca-di-un-racconto-dal-paese-delle-croci/
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