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Il movente religioso nella storia -1

Febbraio 01
02:00 2008

La religione è, senza dubbio, tra i fattori più potenti della storia e dell’umana civiltà, in ogni tempo e luogo la si intenda. Quello religioso rappresenta uno dei sentimenti più caratteristici della “semiosfera” antropologica: qualcosa di profondamente connaturale, insito nell’apparato cognitivo di cui ogni individuo per nascita dispone. Un sentimento che, al pari di quello filosofico, scaturisce dalla condizione stessa che all’uomo pertiene ed appartiene: l’esser egli una monade finita di coscienza autoriflessa, una risibile creatura “gettata” (direbbe Heidegger) nella sgomentevole infinità di un cosmo che irriducibilmente le si sottrae, per sensi, scopi e fondamenti, cospirando in direzione dell’assurdo. E appunto dal disperato bisogno di trovare risposte, di non impazzire, dinanzi a tale assurdità, di provare anzi a spiegarla e risolverla, insieme ai misteri grandi della vita e della morte, dell’esistenza stessa in ciò che è: da questo grumo abissale e originario, nasce il sentimento religioso. Ed ecco allora le cosmogonie, i miti e i riti di fondazione, gli olimpi, gli elisi, i paradisi, gli inferni, gli dèi unici e pantocratori, le teologie, le ortodossie, le confessioni ufficiali, i testi sacri… diversissime ma equivalenti incarnazioni di un medesimo impulso universale.
E tuttavia, se è vero che è dominio di coscienza, è vero altresì che, in quanto fattore culturale, la religione impronta di sé non solo il modo di pensare ed agire degli individui, ma anche la loro organizzazione economica, sociale e politica. Si pensi, tanto per portare qualche esempio, al peso che sull’economia di molti Paesi finiscono per avere certi divieti alimentari a matrice religiosa, come quello islamico di consumare carne suina; o, ancora, alla divisione in caste della società indiana (con conseguente discriminazione degli esclusi, i “paria”), legittimata dai principi stessi della tradizione induista; o, sempre per restare in India, al disumano rito del “suttee” (la vedova che si immola sul rogo del marito defunto).
Mi sembra pertanto lecito identificare la religione come uno dei grandi ingranaggi della Storia, assegnandole un ruolo di importanza primaria nella determinazione del divenire umano. Un fattore che, sebbene costitutivamente proteso verso le astratte dimensioni dell’”eterno”, risulta essere profondamente implicato alla realtà, nella misura concreta del “tempo”.
Richiamando la concezione marxiana, potremmo considerare la religione alla stregua di una “sovrastruttura” (fra le altre), ovvero una forma determinata principalmente dalla “struttura” economica della società, e in grado al tempo stesso di determinarla (in quel continuo gioco dialettico che costituisce il fulcro del cosiddetto “materialismo storico”). In altre parole: è vero che è la coscienza a improntare di sé le condizioni materiali degli uomini; ma è vero anche e soprattutto il contrario. Il pensiero di ogni individuo è fatalmente condizionato dal suo tenore di vita, dal suo “potere d’acquisto”, dal ruolo sociale che egli ricopre, dalla “speranza di vita” cui può ragionevolmente ambire, per sé e i propri cari. In tale prospettiva, la religione appare come un fenomeno le cui cause vanno ricercate in un uomo storicamente e socialmente determinato, piuttosto che nell’uomo “in quanto tale”. E infatti: di quale individuo stiamo parlando? Di quale oggetto storico e sociale? Di quale religione (espressione a sua volta di quale cultura, di quale Weltanshauung, di quale classe egemone)?
In particolare, Marx ne dà un’interpretazione limitante e ristretta: la religione come “oppio dei popoli”, illusorio risarcimento di speranze per un “al di qua” contrassegnato da ingiustizie e sofferenze. Così nascerebbe la fede, in quanto “sospiro” dell’oppresso, spontaneo anelito da parte di chi, disperato, non ha altro cui appellarsi. La giustizia, come noto, non appartiene intera a questo mondo: solo nell’ipotetico “al di là” la sete di giustizia troverà pace, e gli ultimi – com’è scritto nel Vangelo – saranno i primi. Si tratta, come si può vedere, di un’etica “perdente” e consolatoria, incompatibile con ogni seria istanza di cambiamento, di ridefinizione delle condizioni materiali: funzionale, non a caso, a chi volta a volta detiene i poteri e, per ciò stesso, non ha alcun interesse a mutare le cose. La religione, intesa come anestetico delle masse, finisce per rappresentare un preziosissimo strumento politico, atto ad avallare lo status quo, contenendo le spinte rivoluzionarie provenienti dal basso, neutralizzandone la virulenza. Insomma: un formidabile grimaldello per dominare gli individui dall’interno, condizionandone le scelte, i pensieri, i comportamenti. Nessun altro fattore sociale può vantare una simile capacità di penetrazione, o dirsi così irresistibile. Chi è, infatti, che definisce i confini dell’”ortodossia”, entro cui l’individuo è chiamato fin da bambino a muoversi? Chi è che segna il discrimine fra ciò che bene e ciò che è male, giusto e ingiusto, morale ed immorale?
Ed ecco allora la religione come “instrumentum regni”, in grado di puntellare le istituzioni, di cementare la coesione sociale, di dare fondamento interiore ai rapporti fra il singolo individuo e il resto della comunità. Ne parla Machiavelli nei suoi Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, ma anche, più velatamente, nel Principe, laddove considera fondamentale abilità politica, fra le altre, quella di apparire “tutto religione”, e – viceversa – esiziale errore quello di porvisi contro: un esempio che, a distanza di secoli, pensò bene di seguire Mussolini quando, con la stipula dei Patti lateranensi del 1929, riuscì ad accattivarsi le simpatie del papa e dei cattolici.
Un abito religioso di pura facciata, un’apparenza di devozione, indispensabile corredo di ogni abile governante: qualcosa dettato, il più delle volte, dalle esigenze della “ragion di stato”, piuttosto che da intime e sentite convinzioni.
La religione è stata sempre, fin dalle origini e in ogni società, un “affare di stato”, implicata con le maggiori istituzioni civili, parte essa stessa (e talora nucleo centrale) dei “massimi sistemi”. Quello religioso, pertanto, ha potuto configurarsi come uno dei moventi più frequenti e decisivi, nei conflitti tra popoli e culture. La risonanza emotiva del sentimento religioso, la sua “totalità”, la sua straordinaria capacità di presa sulle coscienze, tuttavia, non devono farci dimenticare che si è trattato quasi sempre di un movente fittizio e specioso, utilizzato a bella posta dai governanti per giustificare, nascondendoli sotto una vernice ideale, interessi reali, di ben altra natura. Il movente religioso compie infatti il “miracolo” di rendere non solo accettabile, bensì moralmente irreprensibile, ciò che altrimenti risulterebbe osceno, troppo brutalmente scoperto, in quanto immorale nei modi e negli intenti; conferisce dunque una veste di “giusta e santa causa” (cui diviene doveroso votarsi, e addirittura eroico immolarsi) a ciò che di giusto e santo spesso non ha nulla. Insomma: le “guerre di religione”, se combattute con le armi (e non risolte in innocue dispute teologiche), danno sempre voce a più vasti conflitti sociali e, dunque, nascondono interessi materiali, a matrice politica ed economica.
Si pensi alle Crociate medievali, bandite dai papi sì per rispondere con una guerra santa cristiana a quella musulmana, sì per riscattare il Santo Sepolcro; ma soprattutto per rimpinguare le casse (ed innalzare il prestigio politico e sociale) di una Chiesa ancora impegnata nella lotta per le investiture. Peraltro, l’iniziale fervore religioso non mancò di scemare, via via, per lasciare libero campo alla pura logica degli interessi, che alla fine prevalse scopertamente. Le Crociate, quand’anche di esito incerto o fallimentare, rappresentarono un affare per tutti: per la feudalità, che vedeva la possibilità di rifarsi in Oriente delle posizioni perdute in Europa; per le masse dei pezzenti, in cerca di fortuna; per le città marinare come Genova e Venezia, che fiutarono la ghiotta occasione di garantirsi teste di ponte per i propri affari nel Mediterraneo orientale…
(continua)

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