Il lavoro è economia o l’economia è lavoro?
La mia vita si è prodigata nel campo tecnico, poco conforme riguardo l’economia, anche se un’idea si può sviluppare. La parola chiave è ‘rendita’; il passo successivo è il dividendo; il risultato finale il benessere. La contrapposizione di tutto questo può essere sintetizzata in una sola parola: crisi.
«Un’azienda è la vetrina di uno o più imprenditori, capitali immessi nel mercato destinati a nuova produzione, bene impiegato in un atto di produzione, da cui si spera la reintegrazione del capitale stesso nonché un accrescimento della capacità economica del soggetto»: dal dizionario Treccani.
Fin qui tutto ruota in una logica, capitale, investimento, rendita. Non vi è una contrapposizione in questo meccanismo (almeno in Occidente, capitalista per eccellenza, non disdegnato anche nel resto del mondo), salvo l’intervento di altri ingranaggi interni al meccanismo. È facile che lo sviluppo di questo pensiero s’incarti o assomigli al cane che si morde la coda. Nell’ambito aziendale s’incunea a forza una presenza: la forza lavoro, intesa come l’omino che realizza o collabora con macchinari al raggiungimento dell’obiettivo finale, la produzione. Gli attori presenti sul palco sono: imprenditore, azienda, lavoratore. Tutti insieme concorrono per una produzione in grado di ottenere benessere. Una semplice logica sociale dovrebbe suddividere per tre il risultato economico, tenendo nelle giuste proporzioni la distribuzione della rendita.
L’imprenditore ha investito un capitale (di cui è sempre proprietario); necessariamente deve ottenere un risultato di rendimento, sempre che non siano sopraggiunti investimenti esterni a cui deve rendere, a suo carico, conto. L’azienda è la fonte della produzione: nel tempo necessita di manutenzione, investimenti, ammodernamenti. Accumulare un capitale da reinvestire nell’immediato e nel futuro è il minimo che l’azienda deve possedere. Una ricchezza economica propria che la renda competitiva nel tempo.
Il lavoratore, la forza che è in grado di tradurre in realtà i primi due punti e un ulteriore balzo produttivo per il proprio benessere. In egual misura deve essere partecipe della distribuzione del capitale prodotto. Questa espressione è simile al meccanismo di un orologio: ogni ingranaggio, anche di diverso valore, partecipa alla precisione dell’orario. Il frutto dell’operazione si traduce nel benessere sociale. Cosa si contrappone a questa situazione? La corruzione sbaraglia il capitale e la forza lavoro presente nell’azione produttiva, mettendo a repentaglio l’economia e la qualità dei lavori eseguiti. L’accaparramento del capitale aziendale da parte degli imprenditori-investitori, che producono l’impoverimento dell’azienda nel tempo e il conseguente investimento in ricerca e ammodernamento. Il lavoratore, che sentendosi sfruttato o non considerato, reca un danno alla produzione sia nella qualità che nella quantità.
L’intervento di uno di questi meccanismi produce un collasso nell’attività aziendale. Si fa un gran parlare di Jobs Act, di difesa del lavoro, difesa del posto fisso, di diritti: tutti argomenti validi e nobili. Viene da chiedersi per quale motivo l’unico interesse è mirato al solo risvolto economico, perdendo di vista le varie azioni che si intersecano per un reale sviluppo economico e sociale.
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