Il Grande Vasco contro il Sig. Rossi
Lo aveva cantato fin da subito il Grande Vasco, lo aveva gridato a squarciagola nella sua bella canzone programmatica che diceva “Voglio una vita spericolata”. E a quel programma aveva conseguentemente improntato la sua esistenza, diventando il simbolo di una vita spesa fuori dai canoni più tradizionali, fuori dagli steccati degli usi borghesi, vissuta liberamente nelle praterie della sregolatezza a cavallo di un indubbio genio da purosangue.
Ma non si era accorto, il Grande Vasco, che l’ombra del suo doppio, il comune Sig. Rossi, lo aveva inseguito in silenzio per tutti questi anni, acquattata nell’anfratto della sua Carta di Identità, che ne identificava i connotati di fronte alla Legge, allo Stato, alla Burocrazia, e alla sua potenza normalizzatrice. E così, sull’orlo dei sessant’anni, il Grande Vasco ha ceduto dolorosamente alla subdola influenza del Sig. Rossi, e ha accettato di regolarizzare col matrimonio la sua duratura unione (25 anni) con la sua compagna, nonché madre dei suoi figli, Laura Schmidt. «Una grande sconfitta per le mie convinzioni», così ha chiosato l’evento il Grande Vasco, «Un atto puramente tecnico e necessario per dare alla mia compagna gli stessi diritti dei miei tre figli».
Eccola, la vendetta del Sig. Rossi, della sua necessità di normalità e di regolarità, del suo bisogno di far rientrare il galoppo dell’esistenza nella più tranquillizzante stalla delle consuetudini sociali, in un Paese in cui la tua compagna di sempre, la madre dei tuoi figli può vedersi negare ad esempio il diritto di starti vicino nella malattia e nel dolore, o il diritto di prendere decisioni importanti per il comune futuro, o infine il diritto di essere considerata il punto di riferimento della tua volontà e delle tue necessità, se priva di un pezzo di carta bollata che ne certifichi la qualifica civile di moglie. «Per questo è necessario che io firmi un contratto di matrimonio civile. Io che ho sempre considerato il matrimonio come una ben triste condizione di vita: obbligati a vivere insieme per sempre e per forza quando solo essere liberi di andarsene ogni giorno può dimostrarci la libertà di un rapporto. Come se non fosse l’amore l’unica cosa che conta. In questo credevamo io e Laura. Venticinque anni vissuti insieme non per forza ma per amore e una famiglia costruita ogni giorno con fatica e sacrifici».
Insomma, per il Grande Vasco una netta sconfitta esistenziale, un indigesto inchino alle abitudini di un Paese in cui «le leggi sono poco chiare, sempre confuse e interpretabili…. e in cui comunque non sono regolamentate chiaramente le coppie di fatto perché al Vaticano non sono simpatiche…» Dunque una partita persa contro il comune Sig. Rossi e la sua necessità di omologazione, si direbbe. Ma proprio in questo suo modo di affrontare la questione, proprio nella sua scelta di non farne comodo veicolo di mielata pubblicità, mediatico profluvio di felici quadri familiari e affettuosità da copertina, di zuccherose torte nuziali e rinfreschi paparazzati, proprio questo suo amaro e doloroso approccio al tema del conflittuale ed irrisolto rapporto tra sentimenti e istituzioni, ecco proprio in questo sta il colpo di coda del Grande Vasco: il suo critico appello a considerare l’inadeguatezza delle norme che comprimono la nostra vita in schemi non sempre felici, è il gesto che trasforma la sconfitta di un’idea in un pareggio con la convenzione. Coraggio, Grande Vasco. Con il Sig. Rossi è finita con un dignitoso uno pari.
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