“Il Giro del mondo in 80 giorni” di Jules Verne
Jules Verne è ciò che si definirebbe un “figlio del suo tempo”. Nato a Nantes nel 1828 e morto a Parigi nel 1905, difficilmente avrebbe potuto scrivere romanzi di successo come “Il Giro del mondo in 80 giorni” (1873) se non avesse vissuto le straordinarie innovazioni tecnologiche che il diciannovesimo secolo ha saputo offrire. Senza l’invenzione della locomotiva (1830), l’applicazione del motore a vapore per muovere le pale dei battelli (1809), il completamento della prima linea ferroviaria transcontinentale in America (1869), il completamento della grande ferrovia peninsulare indiana (1870), l’apertura del canale di Suez (1869) e la brillante e curiosa stampa inglese (è il Morning Chronicle che nel romanzo lancia l’idea del giro intorno al mondo), il viaggio di Phileas Fogg intorno al globo non sarebbe neppure iniziato, e la scommessa di compiere il giro del mondo in soli ottanta giorni si sarebbe rivelata una pura pazzia. Eppure il metodico e razionale gentiluomo inglese sa bene che il viaggio che sta per compiere è possibile. Lo sa bene anche Jules Verne, ammiratore delle idee progressiste di Saint-Simon, conte francese che professava una fede indiscriminata nel progresso e nella scienza e che auspicava una società cosmopolita, gestita da scienziati e industriali, che avrebbe portato a un miglioramento generale delle condizioni di vita.
Una curiosità: la mongolfiera, che col tempo è diventata un simbolo de “Il Giro del mondo in 80 giorni”, non viene neppure menzionata nel libro. Il suo ingresso nel mito del viaggio intorno al mondo si deve alla trasposizione cinematografica del 1956.
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