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Il Gigante Buono della imprenditoria italiana

Maggio 09
14:41 2011

Si chiamava come suo nonno, fondatore, nell’immediato dopoguerra, di quella che sarebbe diventata l’Azienda leader nella produzione dolciara del mondo. Pietro Ferrero si trovava in Sud Africa con il padre Michele per mettere a punto la realizzazione di uno stabilimento nelle vicinanze di Città del Capo, quando lunedì 18 aprile è venuto improvvisamente a mancare, colto da un malore mentre si allenava in bicicletta. Pietro praticava il ciclismo a buoni livelli, ma lontano dai riflettori, discreta la sua vita come quella di tutti i membri della storica famiglia Ferrero. Lascia moglie e tre figli piccoli, l’ultimo di appena un anno e mezzo. Immediatamente, due giorni dopo la terribile notizia, arriva l’annuncio che alla guida del Gruppo Ferrero subentrerà Giovanni, il fratello minore di Pietro. La storia incredibilmente si ripete: un altro Pietro se ne va a soli 48 anni, troppo presto come il nonno Pietro stroncato da un infarto nel 1949 a 51 anni, cui subentrò il fratello minore Giovanni, scomparso a sua volta prematuramente nel 1957. Una storia esemplare, quella della famiglia Ferrero, che si è svolta in tutti questi decenni passando attraverso pesantissime crisi con grande dignità e fermezza, e trovando sempre rimedi e soluzioni laddove tantissimi altri hanno gettato la spugna. Ma per l’immane, inaccettabile perdita oggi subita non vi sono rimedi, se non quello di persistere a denti stretti nella conduzione del colosso dolciario di Alba, in provincia di Cuneo, secondo il principio fondante che da sempre muove questa realtà nazionale che così degnamente ci rappresenta nel mondo. E qui la storia si fa particolarmente toccante per chi scrive, avendola vissuta in parte da vicino. Era infatti il ’57 quando venni assunta come apprendista impiegata nella filiale della Ferrero, appena aperta a Ciampino, e la mia prima esperienza lavorativa, di grande formazione professionale e umana, coincise con il cambio di gestione nella direzione dell’Azienda, che da Giovanni passò al nipote Michele Ferrero (classe 1925). Noi dipendenti partecipammo con tutti i colleghi del Lazio alla messa che si celebrò in forma solenne in una affollatissima chiesa di Roma, per commemorare il compianto Giovanni. Nell’ufficio in via Trento e Trieste era appesa la foto del fondatore (classe 1898). Si raccontava che iniziò la sua avventura aprendo una pasticceria a Torino e poi ad Alba con la moglie Piera durante la guerra, mescolando nel suo laboratorio dei miracolosi ingredienti per l’assaggio di tutta la famiglia e ricorrendo ai surrogati in mancanza di materia prima come il cacao. La voce sulla bontà dei suoi prodotti velocemente si diffonde e ben presto vengono assunti alcuni aiutanti. Quando nel ’46 Pietro lancia il suo Giandujot il successo si fa travolgente, i dipendenti diventano una cinquantina e dalla pasticceria si passa alla fabbrica. Poi un giorno il fratello Giovanni, che si occupava della consegna di pasta gianduia ad un grossista, trova il magazzino chiuso e mentre attende l’apertura una folla di acquirenti dà fondo a tutta la partita. Da questo episodio nasce l’idea di fare a meno dei grossisti e vendere direttamente ai negozianti. Giovanni comincia a girare l’Italia col suo furgone, piazzando quintali di prodotti e procurando ingenti ordinazioni alla fabbrica. Poi Pietro s’inventa il Cremino e l’immediato successo porta a ingrandire continuamente lo stabilimento e ad assumere altro personale. L’alluvione del ’48 rischia di far saltare tutto questo immane lavoro, ma la determinazione della famiglia Ferrero e l’adesione della “sua gente” permettono una pronta e inarrestabile ripresa delle attività. A metà degli anni ’50 la Ferrero supera i confini nazionali e apre uno stabilimento in Germania, prima industria dolciaria in Italia a compiere l’ardito passo. La produzione della Cremalba e poi del Mon Chéri conquistano definitivamente il mercato tedesco e lanciano l’Azienda ai vertici del settore. Nel ’60, con il giovane Michele al timone, la Ferrero entra con i suoi prodotti – sani ed economici – in tutta l’Europa; passando attraverso i tanti e difficoltosi decenni arriva a varcare il terzo millennio con lo stesso appassionato impegno e vitalità creativa trasmessi dal nonno Pietro a tutti i suoi eredi. L’aspetto pubblicitario della Ferrero rappresenta anch’esso un marchio di qualità, le avventure del Gigante Buono e di Joe Condor hanno deliziato più generazioni, e non solo di bambini. E quel gigante buono è ancora qui, pronto a risollevarsi e a darsi da fare. Recentemente, a giugno del 2010, ho avuto la felice opportunità di uno scambio epistolare con Michele Ferrero, cui avevo fatto pervenire un mio libro autobiografico – corredato di foto – in cui si fa cenno alla presenza della Ferrero a Ciampino negli anni ’50 e dell’importanza che rivestì non solo sullo sviluppo della città, ma di tutto il territorio circostante. E riportare uno stralcio della sua lettera – oltre che fare onore a Michele, ai suoi predecessori e ai suoi successori – credo possa servire da incitamento a tutti noi, riconducendoci al valore dei rapporti umani e della dignità del lavoro, e soprattutto alla fiducia nella vita che mai si arrende: «Con commozione ho letto e rivissuto il lavoro e gli intrecci quotidiani nella filiale di Ciampino, la vita di tutti i giorni con le sue gioie, delusioni ma sempre piena di attese per il futuro; attese che venivano costruite giorno dopo giorno e, proprio per questo, spesso si realizzavano». E qui chiudiamo, esprimendo tutta la nostra vicinanza alla famiglia Ferrero e auspicando per il Gruppo Ferrero la continuità di uno sviluppo basato sui valori che finora l’hanno sostenuto: il coraggio delle innovazioni e l’attaccamento ai valori tradizionali.

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