Il diritto tirato per la giacchetta
Quando il diritto incrocia un parlamentare perde la bussola, anzi qualche volta perde i connotati, non si riconosce più. Giusta la garanzia del Parlamento di essere preservato da eventuali (molto eventuali) colpi di mano del potere giudiziario. Giusto il diritto-dovere del giudice di chiedere l’arresto del parlamentare presunto reo. Quello che non torna sono i tempi e gli atteggiamenti contraddittori.
La richiesta di arresto prima della condanna è definita provvedimento cautelare. Lo Stato, nei confronti del semplice cittadino o del parlamentare, quando siano indagati di reati di prevista gravità, si ‘cautela’: in genere per pericolo di fuga o di inquinamento delle prove. Quando mancano queste esigenze o rare altre specifiche (reiterazione…) il provvedimento cautelare non ha ragione d’essere e normalmente non viene richiesto. Premesso che, per quanto si apprende, parecchi parlamentari e non (si veda vicepresidenti lombardi di tutti i colori) sembrerebbero meritare più di una restrizione, non si comprende l’utilità di un arresto che interviene dopo mesi dalla richiesta, tra commissioni, rinvii, dibattiti, ventilati accordi e votazioni ‘molto politiche’. Non è un caso che fino ad ora le richieste di arresto sono state accolte solo nei confronti di personaggi di poco calibro politico, l’on. Papa ed il sen. Lusi. Anche quest’ultimo caso suscita molti interrogativi, considerata la confessione e le molte prove documentali. Forse occorrerebbe rivedere tutta la materia stabilendo dei tempi rapidissimi per l’iter che porta alla pronuncia sul cosiddetto fumus persecutionis, proprio perché si tratta di un provvedimento eccezionale che ha nella rapidità la sua ragion d’essere, se no è inutile chiudere la stalla vuota. Dall’altro versante ed in qualche caso, forse il giudice, verificata col decorso del tempo l’inutilità della misura richiesta, dovrebbe, coerentemente con quanto succede in casi meno eclatanti, rinunciarvi, contribuendo ad eliminare tutte le dietrologie sui capri espiatori o sulle vendette o accordi trasversali. Tutti discorsi che minano la credibilità delle rispettive istituzioni: di questi tempi non ce n’è proprio bisogno.
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