Il diritto alla vita di una intera generazione
Il campo di calcetto è illuminato, l’area di rigore intasata, i ragazzi protesi al goal, nella gioia di una serata trascorsa a dare calci a un pallone.
Nella frazione di uno sparo la vita non è più in gioco, neppure è scivolata in corner, se n’è andata out per sempre.
Un uomo è steso scompostamente sull’erba, immobile come la morte obbliga a stare, tutt’intorno ragazzi ribaltati a terra, tra urla di dolore e il sangue che riempie gli occhi, inonda i polmoni, nell’incredulità che non consente di pensare, di agire, di tentare uno scarto salva vita.
Le armi hanno dettato i tempi, decretato i modi, a colpire nel mucchio per abbattere il nemico, e pur di riuscirci lacerare qualche vita in più, poco importa se parte di una adolescenza innocente, incolpevole, indifesa.
In ogni società inchiodata dai riti e dalle usanze che non si dicono, in ogni periferia abitata dal filo spinato delle parole, l’umanità è spesso svenduta da un interesse, da uno scambio, da una sottrazione. Eppure a ogni perdita di coscienza, a ogni compravendita di un principio, in questi agglomerati umani, rimane inviolabile un principio che vorrebbe intoccabili i bambini, le donne, gli anziani: romanzi di altri tempi, letteratura da quattro soldi, santuari somiglianti a sepolcri imbiancati, né più né meno che parole sbagliate per non dare nome e peso consoni ad una indicibilità come quella sparpagliata su quel campetto di calcio.
Si dirà che sono peculiarità di quel territorio, sbalzi di temperatura causati da quell’incultura che disconosce alfabeti diversi, si diranno tante cose, e altre se ne caricheranno sopra fino a fare scomparire le precedenti.
Ancora una volta il verbo sarà che per colpa di pochi e feroci scriteriati, tanti soccombono alla violenza che impone il dazio da pagare, quello di vedere sbattuti a terra, annientati nello spirito e nella carne i più giovani, vivi per puro caso.
La violenza delle armi, la violenza dei disvalori, la violenza della prevaricazione che conduce alla disperazione, alla vendetta e all’odio, fino a negare l’ultima volontà di un perdono, per tutto ciò che non potrà più essere, per tutto ciò che non avrà più un inizio e una fine, per tutto ciò che non avrà assoluzione, neppure il conforto della giustizia.
Si uccide a casaccio pur di azzerare l’altro, su quel rettangolo verde le speranze calpestate ingiustamente, inzuppate del sangue dei silenzi e delle viltà elette a stile di vita.
Sotto i riflettori accesi di quel campetto di gioco, in quegli spari all’impazzata, sta la risposta a un andazzo che non autorizza nessuno a passare oltre, a sentirsi escluso dal farci i conti, in quell’agguato così destrutturante vi è indifferenza per le responsabilità, non solamente di coloro che hanno premuto il grilletto, anche di quelle che obbligano alla conoscenza, a scoprire il richiamo intimo, che pone un secco rifiuto a ogni convinzione o sottoscrizione tribale.
In quella azione c’è la spavalderia di chi non ha rispetto per quanti hanno amore delle parole vere, non esibite, non assunte, che non hanno abitudine nè pratica del male, ma si fanno avanti per trasformarlo, affinché il delirio di onnipotenza di alcuni non sacrifichi i diritti di una intera generazione.
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