Il dio degli eserciti
La citazione scelta dal pontefice per la sua lectio magistralis all’università di Ratisbona non avrebbe lasciato spazio a un dibattito così acceso anche nel mondo occidentale, se si fosse riflettuto da subito su cosa si nascondeva dietro quell’apparente gaffe. Un bravo semiologo nell’analisi dell’enunciato, partirebbe dal contesto. Si tenga, dunque, conto della cornice in cui quelle parole sono state pronunciate e si provi a esaminare l’episodio secondo tre vari livelli di lettura. A una prima impressione poteva sembrare che Benedetto XVI si fosse dimenticato del difficile periodo che stiamo vivendo, dei mille pericoli che sorgono quando si affrontano i delicati rapporti tra religioni e soprattutto non fosse stato in grado di prevedere le scontate e scomposte reazioni di vasti settori del mondo islamico, fermi purtroppo al tempo delle crociate. Dopo un paio di giorni, avendo assistito alle minacce che sono state rivolte alla comunità occidentale con proclami folkloristici e minacce tipo ‘conquisteremo Roma’, ci si è interrogati sulla libertà di opinione e di parola, che è uno dei principi fondamentali sui quali si regge la casetta della nostra democrazia, riflettendo così sull’esiguo margine di critica e di discussione e sull’inevitabile approdo a una suscettibilità basata sull’infallibilità del loro Libro. In parole povere si può immaginare per il futuro un dibattito interreligioso che a priori escluda per l’Islam la possibilità di essere criticato? Circolava una leggenda, ormai ritenuta falsa, secondo la quale il rogo che distrusse la biblioteca di Alessandria fu provocato da un califfo seguendo la regola che o tutti quei libri dicevano la stessa cosa del Corano e allora erano inutili, oppure dicevano cose diverse e allora erano dannosi. Un nodo gordiano che prima o poi bisognerà sciogliere, se non vogliamo rimanere ammutoliti a causa del troppo politically correct. In ultima analisi, a una più attenta lettura dell’accaduto, a cinque, sei giorni di distanza, la vicenda della citazione inopportuna appariva molto più chiara. Anche grazie alla lettura di un po’ di titoli sui giornali e alla reazione di alcuni ambienti conservatori alle parole del papa. La stampa più popolare ha rispolverato il Saladino sulle coste di Otranto, dichiarando che sarebbe stato ‘meglio morire tutti che diventare mussulmani’ (uno dei titoli apparsi in quei giorni), la raffinatezza, invece, di un altro tipo di stampa tardomarinettiana si limitava a rimpiangere la profetica Oriana. Terzo livello di lettura. Cosa aveva detto il pontefice nel suo ultimo discorso prima di Ratisbona? Aveva affermato che il mondo islamico non riesce giustamente a comprendere la società occidentale a causa del suo pensiero laico, del suo egoismo e consumismo, della sua mancanza di fede, del suo edonismo e scetticismo. Tutto quello cioè che il teologo Ratzinger è solito riassumere in un’unica parola d’ordine, relativismo. Perché allora meravigliarsi se dopo un papa icona mediatica, sciatore, montanaro, poeta, calciatore e tanto altro, che ha riempito le piazze e svuotato le chiese, si sia puntato in conclave su di una persona che riportasse le persone a inginocchiarsi trai banchi? E la citazione dell’imperatore bizantino che altro è se non una chiamata a raccolta della cristianità (in armi)?
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