Il diario di un seduttore – Un’avventura di sesso e di sogno
Bruno Benelli è un nome noto, perché è un volto televisivo a livello nazionale e un giornalista di grandi testate. Molti anni fa pubblicò una raccolta di versi satirici, caustici, appassionanti: Le regole del gioco. Da pochi giorni ha visto la luce un suo racconto lungo, coi tipi della Edilet di Roma (pp. 168, E. 12). La trama parte da un appiglio giudiziario: il seduttore (personaggio inventato a filo si refe) è in tribunale, accusato di essere un fedifrago, donnaiolo, avventuriero etc. Lo difende un avvocato, che parla per lui, rivedendo sotto altra luce le avventure di questo moderno Casanova, e alla fine dello spiattellamento di tutti i notturni amorosi, il causidico dimostra che il suo cliente dovrebbe essere premiato perché ha dato piacere e gioia alle donne con cui ha avuto contatti e amori. In realtà, c’è una decodificazione scaltra e convincente della morale comune attaccata alle regole ipocrite d’una società sazia di bugie.
Infatti, Bruno Benelli, con una penna che corrode a fondo le apparenze e diverte anche se vogliamo, va più in là della pur vivace e talvolta picaresca descrizione delle notti bianche del suo protagonista: lo scrittore, nella sua fantasia sfrenata, dietro il paradigma femminile e fortemente erotico, giudica di continuo il mondo, ma non lo fa con le armi del moralismo arido né con la voce stridula dell’esercito della salvezza, bensì con una sorta di sorniona additazione, attraverso il negativo, d’un positivo fotografico non visibile: Benelli ha un occhio al cuore degli uomini e un altro alle scarpe, uno al petto e uno alle spalle: il libertino va per conto suo, si pasce sulle morbidezze venusine, ma la sua voce non canta un inno ottimistico. In ogni pagina c’è un’amarezza velata, una strana sfiducia negli esseri umani, ma altrettanto una capacità di godere i divieti, di canonizzare le trasgressioni: e tutto con uno stile che prende a viva forza il lettore. L’autore ha questo di particolare: non moraleggia, né tiene in dispregio la regola; la supera e la confonde, rivalutando il ruolo della donna proprio attraverso (come dichiarava il sommo Wagner) il raggiungimento libero del piacere dei sensi. Ma allora a quale personaggio assimileremo questo libertino? Non certo al celebre Don Giovanni. Rileggendo Tirso de Molina, trovo che Don Giovanni gode ingannando le donne: e ciò è agli antipodi della seduzione, la quale seduzione è coinvolgente d’un identico desiderio fra i due sessi. Il nostro protagonista – che non prende moglie – non inganna le partner, ma entra in qualche modo nel loro cuore attraverso la carne, la corte, la fortuna indubitabile che gli mette a fianco esseri vogliosi, bramosi pur nella ritrosia talvolta tipica della finzione amorosa. Semmai è un ribelle, insofferente a ogni legame: da qui il significato che bisogna dare alla parola libertino. Casanova era un avventuriero “in toto”. Il primo attore di questo libro ha il fine di dare gioia, godimento, piacere alla donna. Non guarda tanto a sé, quanto all’altra. Inoltre, Don Giovanni viene dannato nella tragedia; il nostro viene assolto come benefattore (e – a suo modo – lo è, perché ha fatto provare gli amplessi a tante donne che sarebbero rimaste o vergini o estranee ai moti dei sensi). «A modo suo ha celebrato la vita attraverso gonne e mutandine», afferma la difesa, continuando, in uno stile vivace, caustico, ed anche divertente: «…Venga riconosciuta la sua continua, pervicace, attenta, sensibile, coerente opera di arrecare plusvalore a vite confuse e avvilite da solitudini e matrimoni sciatti e piatti, divenuti nel tempo convitati di pietra al banchetto della felicità e dall’armonia fisica e spirituale con il creato.»
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