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Il Cristo di Wilde e Pasolini

Giugno 18
09:34 2020

Il Cristo di Wilde e Pasolini
di Aldo Onorati

(Paolo Loffredo Editore, Napoli, 2020)

Suggestiva quanto perfettamente calzante all’autore de Il Cristo di Wilde e Pasolini sia la definizione di ‘saggista creativo’ nell’Introduzione al libro a firma di Fabio Pierangeli, può constatare chiunque si accosti alla lettura di questo nuovo lavoro di Aldo Onorati.
Certo, dice a un certo punto Onorati, come si legge in una testimonianza diretta citata nella stessa Introduzione, «con Oscar Wilde non ho potuto discorrere, ma con Pasolini sì». Del quale l’autore ricorda una riflessione bellissima su Cristo confidatagli dallo scrittore di Ragazzi di vita in persona durante una conversazione-intervista: «Non credo che sia Dio, ma la sua coerenza, l’altezza della sua vita, l’insegnamento e la morte lo rendono divino».
Ed è proprio qui, a mio parere, il fascino del libro.
L’attenta, profonda disamina di Onorati dell’amato ‘capolavoro’ di Wilde, De profundis, a proposito di Cristo come ‘natura poetica’ – una personalità, quella di Cristo, su cui lo stesso Onorati ha a lungo meditato –, conduce il lettore nelle più intime pieghe delle sofferenze del grande scrittore irlandese, scontratosi frontalmente coi pregiudizi invalicabili della società del suo tempo, che lo condannano senza appello per la sua ‘diversità’.
Sofferenze che gli consentirono di cogliere l’eccezionale differenza di approccio del Cristo all’uomo, che Egli mai ha giudicato coi parametri precostituiti di altri ‘fondatori di Religioni’ (comprese le ‘umane’ religioni totalitarie, dei più elementari valori dell’uomo negatrici).
E meglio di ‘predicatori abilitati’, Onorati nota, sulla scorta di una fra le tante acute osservazioni di Wilde, la profondità di certe sue conclusioni: «Cristo non aveva pazienza con gli ottusi sistemi meccanici senza vita che considerano le persone come se fossero cose, quindi trattava tutti allo stesso modo. […] Credo che Gesù sia per molti aspetti incomprensibile secondo la logica umana. Per questo la sua rivoluzione è forse l’unica degna di essere chiamata così».
E di qui Onorati ‘approfitta’ per riflettere su tante ‘rivoluzioni politiche’ (la francese, la russa, la cinese, la cubana, e tante altre), che avevano tanto promesso e poi disseminato il mondo di sangue e di lutti.
Insomma, il testo di Wilde consente a Onorati di dispiegare, per mezzo della figura di Cristo, la sua riflessione sul mondo e sulle tante ingiustizie che lo costellano.
Ma poi…Poi c’è la seconda parte del libro, quella dedicata a Pasolini e alla sua laica ‘fascinazione’ per Gesù, ‘uomo’ della storia, ma di ‘divina umanità’.
E qui va detto che il saggio, già stimolante per la sua sezione dedicata a Wilde, si ‘ravviva’, esplode della vita vissuta.
Se con Wilde, infatti, l’autore non aveva potuto ‘discorrere’, per ovvii motivi, con Pasolini sì; e di lui ha potuto ‘sentire’ e trasmettere a noi l’animo nobile, l’etica alta e le tappe della meditazione, pur sofferta, dello scrittore su Cristo, fin dai versi giovanili dell’Usignolo della Chiesa Cattolica, per approdare poi al vertice della riflessione pasoliniana, nel suo ‘cinema di poesia’, col film Il Vangelo secondo Matteo.
L’aver potuto parlare con Pasolini (e poi con Moravia) in occasione di un loro incontro, culminato anche nella visita alla vigna di Onorati ai Castelli Romani, in procinto di essere ‘fagocitata’ dalla logica disumana della cementificazione, consente alle pagine del Cristo di Wilde e Pasolini di offrire al lettore una testimonianza privata e vera della sensibilità dell’uomo-Pasolini, commosso di fronte ad ogni abuso di ‘interessi privati’ ai danni della natura indifesa. Un’altra ‘prova’, insomma, della personalità di Pasolini, che è una cosa sola con l’opera sua.
Da cui ben si comprende quanto il Cristo ‘senza resurrezione’, com’era nel progetto originario del grande film del 1964, adombri, con tragica auto-preveggenza, il destino personale di Pasolini, di lì all’orribile epilogo, tuttora ‘italianamente’ ombroso, della notte tra il 1° e il 2 di novembre del 1975 all’Idroscalo di Ostia.
In sintesi, nessuno dovrebbe lasciarsi sfuggire l’occasione di conoscere meglio due fra i più grandi autori dell’Ottocento e del Novecento, che si interrogano sulla gigantesca figura, storica per loro, ma infine più che umana, di Gesù Cristo.

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