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Il corpo e l’anima – 3

Novembre 11
12:01 2009

Un più turo umanesimo all’incrocio fra laicismo e religiosità. La fede in se stessi (nel divino trascendente di se stessi) come credo universale. Il Francescanesimo e le sconsiderate filosofie successive, nate all’insegna della separazione della materia dalla spiritualità.

Il pensiero e l’azione di Papa Wojtyla sono stati dominati da un grandioso disegno umanistico, quale non era mai stato posto in essere dalla Chiesa prima d’ora. I suoi orizzonti sono stati di proporzioni ecumeniche ancor più universali rispetto a quelli, già dirompenti ed esplosivi, di Giovanni XXIII. L’antropologismo teologico del Papa che ha chiuso il secondo millennio dell’era cristiana, inaugurandone il terzo, ha promosso quel nobile disegno di fratellanza universale che ha tentato di avvicinare culture differenti e differenti confessioni religiose verso la ricerca di una verità comune. C’è un unico Dio che pulsa nel cuore di ognuno. Bisognerebbe tuttavia avere il coraggio e la coerenza di arrivare fino in fondo in questa ricerca dell’universale, mostrando la propria disponibilità allo smussamento ideologico per andare incontro alle fedi altrui. Su questa via uno spirito religioso autentico può anche incontrarsi con uno spirito laico (se altrettanto autentico) ed ateo addirittura. Infatti, ogni allusione alla comune verità è rivolta al profondo, allo spirito individuale, la cui salvezza e la cui armonia – ricordiamolo – costituisce il cuore più autentico di ogni credo, religioso o ateo che sia. È l’individuo la pietra miliare dell’universo. Pertanto la fede in se stessi è quanto di più universale possa esistere. Se i credenti (e fra questi gli atei), muovendo ciascuno dalla propria fede, puntassero verso questo inafferrabile e non chimerico cuore, inevitabilmente cercherebbero di migliorare se stessi, imboccando il cammino verso un’autentica convivenza religiosa ed umana. Non è necessaria l’integrazione. Si possono gradire le simbologie dell’altro, rimanendo legati alle proprie tradizioni. Quel che più conta è personalizzare queste tradizioni. È viverle da protagonisti e non lasciarsene vivere come comparse di secondo o terzo piano. È metterci del proprio e non farsene plagiare, proponendole e riproponendole in maniere sempre creative. Soltanto così si ottiene quella leggerezza dei simboli che ne ostacola il fanatismo e la degenerazione. Soltanto cosi’ la diversità arricchisce senza impoverire.
L’animismo originario ha regalato al mondo (alla visione che l’uomo ha del mondo, e quindi, in definitiva, alla visione di se stesso) una ricchezza inestimabile di sensi e di valori, che è stata cancellata dagli sviluppi successivi delle metafisiche e dei materialismi. Sotto accusa non sono le religioni storiche, e neppure l’ateismo, quando e laddove hanno saputo conservare integra la visione animistica del mondo. Il Francescanesimo, ad esempio: un movimento religioso, indubbiamente, ma legato a fil doppio ai sensi, alla vita fisica. Pensiamo alla ricchezza di un mondo dove tutto è divino (l’acqua, la roccia, i vegetali, gli animali, il sole, gli astri, la luna, le stelle) e poniamo a confronto questa ricchezza con il povero e desolato pianeta che ci hanno lasciato le sconsiderate filosofie successive, nate e cresciute all’insegna del materialismo e dello spiritualismo. Che cosa rimane oggi della rivoluzione francescana che, alle origini dell’umanesimo tornò a parlare della potenza numinosa di ogni forma vivente? Che cosa resta della visione dantesca, che, nello stesso periodo, poteva individuare la sfera del divino navigando nei mari dell’umano? Ben presto l’umanesimo è stato inteso riduttivamente, come desiderio dell’uomo di ritagliarsi un mondo autonomo, separato da se stesso e dalle proprie fonti battesimali nell’assoluto. E lo spiritualismo non ha fatto altro che aiutare questo processo, proiettando lo spirito in un altrove inesistente, dimentico che qualcuno aveva posto l’uomo sulla terra come custode dell’eden, in un’incarnata e sensibile spiritualità. Una separazione letale. Ed ecco il corpo maltrattato, la terra inquinata, per non parlare dei mari e dei cieli. A poco vale parlare oggi di umanesimo integrale, se si demanda ad altri l’amministrazione del mistero e non si rende l’uomo protagonista dell’essere che è dentro di sé. Ben venga l’aiuto spirituale e morale, ovviamente, se qualcuno è in grado di fornirlo, ma il plagio mentale è un’altra cosa. La persona di cui parla lo spiritualismo non è l’individuo inteso come un tutto (in-diviso, secondo l’etimologia del termine). La persona non è che il soggetto diviso da se stesso, tutto preso nell’orizzontalità dell’esistenza, senza vera e profonda fede in se stesso e senza verticalità. Non è l’individuo che pone in crisi se stesso per tuffarsi nel mistero di se stesso, acquisendo maggiore conoscenza e padronanza di sé.
Il personalismo non è che una forma di razionalismo e, come tale, non aspira veramente al tutto, all’unità. Altra cosa è il misticismo, che aspira – è vero – al ricongiungimento con il divino, rinnegando tuttavia la mondanità. Ed è questo allontanamento del divino dall’umano l’obiettivo comune del materialismo e dello spiritualismo, presi in quel medesimo processo culturale che tenta di sradicare l’uomo dalla centralità di se stesso, trascinandolo in periferia. Ecco il limite di ogni specializzazione e di ogni disciplina, che – pure utilissime – finiscono per togliere all’uomo la sovranità su se stesso. Le scienze, le religioni, le arti, eccetera, nascono dall’uomo e dovrebbero servire l’uomo per i propri bisogni, materiali e spirituali. Purtroppo finiscono per spodestare l’uomo, strumentalizzandolo ai propri fini.
Se poniamo l’uomo al centro, le differenziazioni fra un sentire laico ed un sentire religioso (così come fra ogni altra cultura, scienza, tendenza, fede o ideologia) diventano strumentali all’uomo stesso e possono trovare quell’equilibrio che resta irraggiungibile capovolgendo il rapporto tra i mezzi e i fini. È questo che fanno i settarismi del più svariato tipo: rendono l’uomo succube di poteri che dovrebbero al contrario servirlo per il raggiungimento dei propri obiettivi. A quel punto svanisce ogni possibilità d’intesa e tra i vari poteri si scatena una lotta senza quartiere per stabilire, ai danni dell’uomo, la propria egemonia. Un laicismo autentico dovrebbe attirare, e non respingere, entro i propri orizzonti il sentire religioso. Può sembrare un assurdo, ma non lo è. Infatti, un pensiero laico che intenda favorire realmente l’umano, deve sostenerlo in tutti i suoi aspetti, ivi compresi quelli religiosi, senza riduzioni tendenziose, arbitrarie o di comodo. Allo stesso modo, un sentire religioso autentico dovrebbe trascinare la laicità entro i propri confini, illuminando le valenze profondamente umanistiche della religione stessa, secondo il sano principio per cui la fede occorre al fedele e non viceversa. L’intolleranza verso Benedetto XVI a La Sapienza di Roma è stata l’inevitabile conseguenza degli atti di intolleranza di cui la Chiesa si è resa responsabile, nei secoli trascorsi, verso chi reclamava, in sede morale e spirituale, una giusta autonomia. Se sia nato prima l’uovo della gallina, nessuno può dirlo, ma una cosa ritengo possa esser detta: come la religiosità non dovrebbe essere imposta dall’alto, ma spontaneamente nascere nel cuore dell’uomo, così il senso di fiera indipendenza e autonomia di fronte alle soperchierie non dovrebbe tagliare i ponti con un sano sentire religioso, chiudendo gli orizzonti dell’uomo entro formule fisse e schemi precostituiti.

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