Il cornuto problema del Corno d’Africa
Ogni qual volta i nostri giornali occidentali riportano la notizia di un assalto di pirati alle navi da trasporto che costeggiano le coste del Corno d’Africa, la fantasia vola a Salgari, al mito dei corsari delle Indie, a Sandokan e le sue Tigri, e ci si illude che la cosa riguardi il pur sanguinario ma sempre affascinante stile di vita dei popoli di quelle lontane regioni. Poi, quando un cargo italiano viene preso d’assalto, sequestrato per giorni, e il suo equipaggio sottoposto a poco ospitale prigionia, allora il livello di preoccupazione cresce, e forse cade qualche velo di indulgente e fantasiosa giustificazione. I pirati del Corno d’Africa sono un problema che ci riguarda assai più da vicino di quanto noi non si immagini. Infatti, quei delinquenti che assaltano le navi lungo quelle coste, provocando non pochi danni al commercio internazionale, trovano basi, appoggi, rifornimenti e traffici nelle coste della devastata Somalia, paese in avanzato stato di decomposizione, il cui cancro sta lentamente infettando tutti i paesi confinanti. La Somalia infatti, come stato di diritto, non esiste più da ormai lungo tempo. Dopo la solita infelice invasione militare statunitense, conclusasi con la consueta ritirata strategica che lasciò il paese in un caos peggiore dello status quo ante, dopo l’invasione da parte dell’Etiopia, nel tentativo di limitare i danni dei ripetuti assalti da parte dei sanguinari Signori della Guerra che si spartiscono il paese, la Somalia è ormai in preda al totale disfacimento. È governata da un cosiddetto Governo Federale di Transizione, presieduto da Sheikh Sharif Ahmed, che riesce a controllare a stento la capitale Mogadishu, grazie soprattutto alla presenza di truppe interregionali dell’ Unione Africana, che si sforzano di mantenere in piedi una parvenza di struttura statale, in un paese in preda alla guerra per bande. La più temibile di tali bande è conosciuta col nome di al Shabaab ed è una costola di Al Quaeda a cui si richiama apertamente. Dopo essere stata allontanata dalla capitale grazie allo sforzo congiunto delle truppe dell’Unione Africana, al Shabaab si è ritirata nel sud della Somalia, dove ha creato una sorta di enclave del terrore, amministrando e governando il maggiore porto di quell’area, Kisimaju, da cui partono e a cui tornano la maggior parte dei traffici illeciti e pirateschi di quei lidi. Da questa regione sono organizzate e guidate le attività terroristiche che ormai coinvolgono, oltre alle rotte internazionali, anche buona parte dell’est Africa, grazie anche alla gran quantità di Somali infiltrati nei campi profughi che accolgono le popolazioni in fuga dalla siccità e dalle carestie che sconvolgono endemicamente da anni la Somalia. Si pensi solo che in territorio kenyota, a Dadaab, a pochi kilometri dalla frontiera, l’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) aveva approntato un campo profughi con una ricettività di novantamila posti. Ebbene, attualmente in quel campo staziona permanentemente una comunità di mezzo milione di Somali, ormai inevitabilmente fuori da ogni controllo e tutela. Basti ricordare il recente sequestro di due cooperanti di MSF da parte di al Shabaab, il gruppo terrorista che qualche tempo fa, per ritorsione contro l’Uganda colpevole di aver inviato in Somalia truppe al seguito dell’Unione Africana nel tentativo di stabilizzare il paese, fece esplodere un ordigno in un bar di Kampala, provocando una strage. La stessa al Shabaab si è resa colpevole nei mesi passati di alcuni rapimenti di turisti europei sulle coste nord del Kenya, effettuati via mare nella certezza di poter contare su approdi sicuri in terra Somala. A questo punto il governo kenyota ha deciso di effettuare un intervento armato in profondità nel territorio controllato da al Shabaab, per cercare di sottrarre al gruppo terrorista il controllo di Kisimaju e del suo porto. Ma, come ben sappiamo da precedenti esperienze di cosiddette “guerre asimmetriche”, è ben difficile per un esercito tradizionale riuscire ad aver la meglio su gruppi di guerriglia che possono contare su una perfetta mimetizzazione con le popolazioni locali. Inoltre al Shabaab minaccia i paesi coinvolti nella guerra di sanguinose ritorsioni terroristiche, e nella capitale kenyota Nairobi sono già esplose due bombe in un bar e alla fermata degli autobus, fortunatamente senza provocare morti. A Nairobi vive una vasta comunità di Somali, molti dei quali mantengono stretti legami con la terra d’origine, e inoltre al Sabaab sta tentando di calcare la mano sulle motivazioni religiose, chiedendo l’appoggio delle comunità Islamiche dell’ est Africa in quella che essa definisce una guerra santa di liberazione dal Cristianesimo. E ciò che più preoccupa è la potenziale pericolosità dell’allargarsi di un conflitto che, da locale, potrebbe diventare regionale coinvolgendo anche la stabilità e lo sviluppo di quei paesi di relativa e nascente democrazia, che faticosamente stanno tentando di portare l’Africa nel terzo millennio.
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