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Il Concilio Ecumenico Vaticano II (parte 6/7)

Agosto 01
02:00 2008

I Decreti e le Dichiarazioni
Prima di concludere questa serie di articoli con una riflessione generale sul Concilio Ecumenico Vaticano II, la quale dovrà partire dall’attuale momento della Chiesa cattolica, dobbiamo soffermarci sui Decreti e sulle Dichiarazioni che completano gli argomenti trattati dalle Costituzioni ed offrono interessanti chiavi di lettura per comprendere il clima creatosi all’interno del mondo cattolico negli anni che seguirono il Concilio. I Decreti approvati furono nove (tra parentesi la data di promulgazione): · Ad Gentes sull’attività missionaria della Chiesa (7 dicembre 1965)
· Presbyterorum Ordinis sul ministero e la vita dei presbiteri (7 dicembre 1965)
· Apostolicam Actuositatem sull’apostolato dei laici (18 novembre 1965)
· Optatam Totius sulla formazione sacerdotale (28 ottobre 1965)
· Perfectae Caritatis sul rinnovamento della vita religiosa (28 ottobre 1965)
· Christus Dominus sull’ufficio pastorale dei vescovi (28 ottobre 1965)
· Unitatis Redintegratio sull’ecumenismo (21 novembre 1964)
· Orientalium Ecclesiarum sulle chiese orientali (21 novembre 1964)
· Inter Mirifica sui mezzi di comunicazione sociale (4 dicembre 1963)
Completano il quadro dei documenti approvati tre importantissime dichiarazioni:
· Gravissimum Educationis sull’educazione cristiana (28 ottobre 1965)
· Nostra Aetate sulle relazioni con le religioni non cristiane (28 ottobre 1965)
· Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa (7 dicembre 1965)
Da un rapido sguardo agli argomenti trattatati fuori dalle quattro Costituzioni, si evince con evidenza che i Decreti e le Dichiarazioni costituirono una specie di manuale di istruzioni attraverso il quale i cattolici si rapportarono al mondo in quegli anni di grande trasformazione sociale e religiosa. Argomenti come quello dei mezzi di comunicazione sociale erano del tutto inesplorati da documenti conciliari precedenti, mentre altri decreti, come quello sulla vita dei presbiteri, quello sull’ufficio pastorale dei vescovi o sulla formazione sacerdotale adattavano usi millenari alle pressanti esigenze della società contemporanea. Il rinnovamento era evidente, ma già largamente insufficiente per i tempi che sarebbero maturati da lì a poco. Non stupisce il fatto che furono considerati dalla larga maggioranza dei cattolici come punti di partenza dai quali cominciare a ripensare la relazione tra Chiesa e mondo o il modo di essere della Chiesa stessa nei suoi momenti ed istituti più significativi. Questo fu possibile perchè, al carattere “operativo” di questi documenti, non mancano le motivazioni teologiche e pastorali così come nel caso dell’Apostolicam Actuositatem che richiama la centralità dell’apostolato dei laici all’interno della missione ecclesiale. Il motivo di questo apostolato è dato ancora una volta dalla partecipazione dei laici all’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, secondo una diversità di ministero ma unità di missione (AA, 2). Il concetto appare quasi scontato, ma sicuramente innovativo per le pratiche del tempo. Soprattutto, una volta riaffermato il principio, è stato chiaro che le implicazioni pratiche potessero essere infinite. Personalmente mi sono trovato ad essere contestato ancora ai nostri giorni quando affermavo il diritto-dovere dei laici non solo di formarsi, ma di partecipare al compito dell’insegnamento (munus docendi). Quello che viene contestato in questo caso non è tanto il principio, sul quale comunque si trovano ancora oggi resistenze, quanto le implicazioni pratiche. Torniamo al testo: solo dopo una messa a fuoco teologica il documento passa ad illustrare i vari campi dell’apostolato (le comunità ecclesiali, la famiglia, i giovani, l’ambiente sociale, l’ordine nazionale ed internazionale), i vari modi dell’apostolato (quello individuale, quello organizzato) con un particolare riferimento all’associazione in Italia storicamente più radicata nel territorio: l’Azione cattolica. Lo stesso schema si conserva nella Nostra Aetate, dedicata al sempre difficile rapporto con le religioni non cristiane, anche se in questo caso la frase di maggiore efficacia teologica, a mio avviso, si trova sul finire del documento, al n. 5: “Non possiamo invocare Dio come Padre di tutti gli uomini, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati ad immagine di Dio. L’atteggiamento dell’uomo verso Dio Padre e quello dell’uomo verso gli altri uomini suoi fratelli sono talmente connessi che la Scrittura dice: «Chi non ama, non conosce Dio» (1 Gv 4,8). Come possiamo stabilire un confine a questa considerazione? Insomma, i decreti e le dichiarazioni non rappresentano certo novità teologiche, ma sono istruzioni concrete ben radicate nella tradizionale teologia cattolica, riletta alla luce dei tempi. Su questo non credo possano esserci dubbi, se pur nella più volte ricordata tentazione di “revisionismo”, l’attuale pontefice, il 30 ottobre 2005, riconosce l’importanza dei decreti e delle dichiarazioni conciliari. In particolare, Benedetto XVI, in quell’occasione ha sottolineato il valore della dichiarazione Gravissimum educationis, sull’educazione cristiana. È necessario – ha detto il pontefice – affermare un sistema educativo “che riconosca il primato dell’uomo come persona, aperta alla verità e al bene”, come sostegno al “progresso sociale”. Il papa ha anche ricordato la dichiarazione Nostra Aetate, affermando: “Anche la Dichiarazione Nostra Aetate è di grandissima attualità, perché riguarda l’atteggiamento della Comunità ecclesiale nei confronti delle religioni non cristiane. Partendo dal principio che “tutti gli uomini costituiscono una sola comunità” e che la Chiesa “ha il dovere di promuovere l’unità e l’amore” tra i popoli (n. 1), il Concilio “nulla rigetta di quanto è vero e santo” nelle altre religioni e a tutti annuncia Cristo, “via, verità e vita”, in cui gli uomini trovano la “pienezza della vita religiosa” (n. 2). Con la Dichiarazione Nostra Aetate i Padri del Vaticano II hanno proposto alcune verità fondamentali: hanno ricordato con chiarezza lo speciale vincolo che lega i cristiani e gli ebrei (n. 4), hanno ribadito la stima verso i musulmani (n. 3) ed i seguaci delle altre religioni (n. 2) ed hanno confermato lo spirito di fraternità universale che bandisce qualsiasi discriminazione o persecuzione religiosa (n. 5).”
(continua)

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