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Il Concilio Ecumenico Vaticano II (parte 5/7)

Il Concilio Ecumenico Vaticano II (parte 5/7)
Giugno 01
02:00 2008

Papa Paolo VILa Dei Verbum
La Costituzione Dei Verbum (La Parola di Dio, da qui DV), fu promulgata da Papa Paolo VI il 18 novembre del 1965 ed anche in questo caso il collegio dei vescovi non raggiunse l’unanimità. Tuttavia per quanto riguarda la DV il dissenso fu molto circoscritto e questa volta la votazione registrò tra i contrari solo sei porporati. Già questo elemento è indicativo del fatto che il documento sia stato vissuto dai padri conciliari con minore tensione rispetto agli altri. Il testo, inoltre, appare chiaramente in linea con quanto non solo era già nel patrimonio della Chiesa cattolica ma anche con quanto veniva comunemente vissuto nell’ambito delle realtà locali.
La DV si occupa della Rivelazione e del concetto di Parola di Dio. Il collegamento del testo conciliare alla tradizione della Chiesa cattolica è evidente già dal Proemio che chiarisce come la divina Rivelazione sia intesa in continuità con quanto già espresso in proposito dal Concilio Tridentino e quello Vaticano I. Questa affermazione iniziale è molto importante in quanto, soprattutto il Concilio Tridentino, segnò, proprio su questo punto, una netta frattura con le chiese che avevano accolto le istanze ereditate da Lutero sul tema della Parola di Dio e della sua interpretazione.
L’intento appare subito quello di indicare una continuità tra le Sacre Scritture e lo stesso Gesù Cristo (il Verbo di Dio), mentre il nodo centrale, proprio in considerazione di quanto affermato nei due Concili citati, consiste nella unità della Tradizione e della sacra Scrittura, in netta contrapposizione con il motto “sola scriptura” delle Chiese riformate. In breve, mentre le chiese figlie della riforma di Lutero considerano il principio della Parola di Dio, interpretata alla lettera e senza la mediazione della tradizione cattolica, come l’unico elemento di salvezza, la DV, in continuità con il magistero romano afferma:
La sacra Tradizione dunque e la sacra Scrittura sono strettamente congiunte e comunicanti tra loro. Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse formano in certo qual modo un tutto e tendono allo stesso fine. Infatti la sacra Scrittura è la parola di Dio in quanto consegnata per iscritto per ispirazione dello Spirito divino; quanto alla sacra Tradizione, essa trasmette integralmente la parola di Dio – affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli apostoli – ai loro successori, affinché, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano; ne risulta così che la Chiesa attinge la certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura e che di conseguenza l’una e l’altra devono essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e riverenza. (DV, 9. CFR. Cf. Concilio di Trento, IV Sessione, loc. cit.: Denz. 783 (1501).)
Se da una parte quindi, il Concilio ribadisce la sua convinzione che i libri della sacra Scrittura (secondo il canone romano) furono scritti per ispirazione dello Spirito Santo, e che si può affermare che il vero autore di questi libri sia Dio (cfr. n. 11) è lo stesso Concilio che afferma che
Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo egli in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori, tutte e soltanto quelle cose che Egli voleva fossero scritte (n. 11).
È evidente che questa duplice paternità della sacra Scrittura genera un problema, infatti se affermiamo che Dio ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana (n. 12), dobbiamo anche affermare, come afferma la DV, che quindi per risalire al contenuto ultimo e vero delle Scritture sia necessario un lavoro di lettura, comprensione e soprattutto interpretazione del testo (n. 12). Questo lavoro prevede l’uso di competenze specifiche che tengano in conto i generi letterari (storici, profetici, poetici), ma anche dell’ambiente sociale, storico e culturale al quale vengono destinate i testi e dell’unità che lega con un filo tutte le Scritture (n. 12). È qui che entra in campo il ruolo dell’esegeta, che però non è un ruolo di competenza esclusivo, anzi, il suo compito è quello di analisi, raccolta dei dati sul campo, di istruttoria, in maniera che il suo lavoro preparatorio aiuti al discernimento da parte della Chiesa. Infatti:
Quanto, infatti, è stato qui detto sul modo di interpretare la Scrittura, è sottoposto in ultima istanza al giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino mandato e ministero di conservare e interpretare la parola di Dio (n. 12).
Il Concilio, naturalmente, si sofferma anche sull’articolazione tra il Nuovo e l’Antico Testamento, riservando al primo i capitoli dal 17-20 ed al secondo (che però viene chiamato “Vecchio Testamento”, quelli dal 14 al 16). In maniera piuttosto netta, forse non richiesta dal contesto, viene rivendicata una superiorità dei libri del Nuovo Testamento dei quali si conferma il valore storico e di testimonianza sulla vita e la dottrina del Verbo incarnato ed il loro valore anche a seguito della tradizione apostolica (nn. 18 e 19), cioè la trasmissione operata dalla gerarchia cristiana di generazione in generazione fino alla redazione del canone, che è l’elenco dei libri che per la Chiesa Cattolica possono essere considerati sacri.
Interessante e ancora controversa la ricostruzione operata dal Concilio della elaborazione dei Vangeli: gli autori sacri scelsero quanto ricevettero perché tramandato oralmente o in forma scritta dai testimoni oculari. Nel far questo redassero un riassunto, adattarono i racconti in funzione delle particolari situazioni delle Chiese alle quali i Vangeli erano destinati e soprattutto mantennero sempre la finalità della predicazione, pur conservando sempre la verità dei fatti che riguardavano il Gesù storico (n. 19).
Essi infatti (gli autori dei Vangeli, ndr), attingendo sia ai propri ricordi sia alla testimonianza di coloro i quali «fin dal principio furono testimoni oculari e ministri della parola», scrissero con l’intenzione di farci conoscere la «verità» (cfr. Lc 1,2-4) degli insegnamenti che abbiamo ricevuto (n.19).
Renato Vernini (renverni@tin.it)

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