Il Concilio Ecumenico Vaticano II (parte 4/7)
Papa Giovanni XXIII, non aveva individuato alcun tema determinato per la discussione del Concilio, anzi aveva invitato i Vescovi del mondo a proporre le loro priorità proprio al fine di individuare le esigenze di approfondimento emergenti dalle singole realtà delle chiese locali. Questa impostazione determinò il fatto che il Concilio dovette occuparsi di quasi la totalità degli aspetti della vita religiosa e civile, tuttavia possiamo affermare con certezza che il Concilio Ecumenico Vaticano II è stato essenzialmente un Concilio ecclesiologico, ciò vale a dire che la Chiesa è al centro della sua riflessione. Come ricordava l’allora cardinal Ratzinger in un articolo pubblicato il 4 marzo 2000 sull’Osservatore Romano, questa esigenza di approfondire la discussione sulla Chiesa “emergeva anche dal clima culturale dell’epoca: non solo Romano Guardini parlava di risveglio della Chiesa nelle anime; il Vescovo evangelico Otto Dibelius coniava la formula del secolo della Chiesa, e Karl Barth poneva al centro della sua riflessione la ‘Kirchliche Dogmatik’ (Dogmatica ecclesiale)”. Insomma, fermo restando che lo sforzo principe del Concilio sia stato quello di rivolgere la sua attenzione ai segni dei tempi, è vero che la riflessione dei padri conciliari si concentrò prioritariamente sulla Chiesa romana: si aprirono le finestre, è vero, ma la riflessione si rivolse soprattutto all’interno della casa, ora però illuminata da un raggio di sole estivo.
Chiunque si sia trovato a leggere il testo o buoni commenti sulla ‘Lumen gentium’ (da qui LG), sarà rimasto sicuramente colpito da alcune parole chiave: l’idea di Popolo di Dio, che sostituisce quella di Chiesa come gerarchia, la collegialità dei Vescovi come rivalutazione del ministero dell’episcopato che attenua l’assolutezza del primato papale, la rivalutazione delle Chiese locali nei confronti della Chiesa universale, l’apertura ecumenica del concetto di Chiesa e l’apertura sistematica alle altre religioni. Questa sensibilità generale si tradusse, per quanto riguarda la LG, in una serie di affermazioni che però avrebbero prodotto i propri frutti solo nella pratica pastorale negli anni successivi al Concilio e che spesso avrebbero ricevuto aspre critiche da chi riteneva che gli effetti avessero ecceduto la causa e che quindi una pratica troppo innovativa non era giustificata da quanto affermato nella LG.
Certo è che, pur senza andare a cercare le critiche più aspre avanzate dai tradizionalisti, tali idee guida, che nel post-concilio divennero dei veri e propri slogan, sono tuttora ampiamente contrastate: lo stesso Ratzinger, nell’articolo che abbiamo citato rivendica un modello trinitario per la Chiesa, fondata sulla ‘communio’, in contrapposizione ad una idea, secondo lui, pseudo conciliaria ed assemblearista:
“la parola ‘communio’ nel Concilio non ha una posizione centrale. Nondimeno, compresa rettamente, essa può servire come sintesi per gli elementi essenziali dell’ecclesiologia conciliare. Tutti gli elementi essenziali del concetto cristiano di ‘communio’ si trovano riuniti nel famoso passo di 1 Giov 1,3, che si può considerare come il criterio di riferimento per ogni corretta comprensione cristiana della ‘communio’: «Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta». Qui emerge in primo piano il punto di partenza della ‘communio’: l’incontro con il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che nell’annuncio della Chiesa viene agli uomini. Così nasce la comunione degli uomini fra di loro, che a sua volta si fonda sulla comunione con il Dio uno e trino. Alla comunione con Dio si ha accesso tramite quella realizzazione della comunione di Dio con l’uomo, che è Cristo in persona; l’incontro con Cristo crea comunione con lui stesso e quindi con il Padre nello Spirito Santo; e a partire di qui unisce gli uomini fra di loro. Tutto questo ha come fine la gioia piena: la Chiesa porta in sé una dinamica escatologica”.
L’intervento di Ratzinger è utile anche ad una precisazione riguardo la contrapposizione tra vescovi progressisti e conservatori. È bene chiarire, anche a seguito di domande ricevute sui precedenti articoli, che l’esistenza di due ‘fazioni’ non scaturì certo da un dibattito politico, ma, come emerge dallo stesso intervento del futuro Benedetto XVI, dal confronto teologico e pastorale tra due o più scuole di altissimo livello.
Ma veniamo al testo: i confini dentro i quali si svolge il discorso sulla Chiesa sono quelle che lo inquadrano da una parte nell’ambito del disegno salvifico universale, cioè il disegno con il quale Dio si rivolge a tutti gli uomini, dall’altra del Regno di Dio come concreta realizzazione, già in terra, di questo stesso disegno salvifico. Ciò significa che parlare di Chiesa significa oltrepassare i confini di quello che comunemente si intende come Chiesa (Papa, vescovi, preti, fedeli) e riconoscere dei confini ‘invisibili’ ben più ampi di quelli che siamo abituati a ‘vedere’ con gli occhi del pregiudizio storico e sociale. In sostanza: ogni uomo è chiamato a far parte della Chiesa e non è detto che non ne faccia parte, anche se, per mille motivi, non sia stato materialmente battezzato: “Quanto a quelli che non hanno ancora ricevuto il Vangelo, anch’essi in vari modi sono ordinati al popolo di Dio. In primo luogo quel popolo al quale furono-dati i testamenti e le promesse e dal quale Cristo è nato secondo la carne (cfr. Rm 9,4-5), popolo molto amato in ragione della elezione, a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (cfr. Rm 11,28-29)” (LG 16).
Ancora una volta è una questione di termini e di accenti che aprono nuove prospettive: il concetto di Popolo di Dio, è nato dalla nuova alleanza tra Dio e gli uomini, per questo motivo, la nuova comunità è articolata in una dimensione visibile e in una realtà mistica che però sono espressione dell’unica sostanza: “Ma la società costituita di organi gerarchici e il corpo mistico di Cristo, l’assemblea visibile e la comunità spirituale, la Chiesa terrestre e la Chiesa arricchita di beni celesti, non si devono considerare come due cose diverse; esse formano piuttosto una sola complessa realtà risultante di un duplice elemento, umano e divino” (n 8).
Questo concetto di popolo, per definizione, prevede un’identica dignità sociale e sostanziale tra i suoi membri, laici e ordinati: “comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia di adozione filiale, comune la vocazione alla perfezione; non c’è che una sola salvezza, una sola speranza e una carità senza divisioni. Nessuna ineguaglianza quindi in Cristo e nella Chiesa per riguardo alla stirpe o nazione, alla condizione sociale o al sesso, poiché « non c’è né Giudeo né Gentile, non c’è né schiavo né libero, non c’è né uomo né donna: tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28 gr.; cfr. Col 3,11)” (n. 32).
Ma chi sono i laici?
“Col nome di laici si intende qui l’insieme dei cristiani ad esclusione dei membri dell’ordine sacro e dello stato religioso sancito nella Chiesa, i fedeli cioè, che, dopo essere stati incorporati a Cristo col battesimo e costituiti popolo di Dio e, nella loro misura, resi partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano” (31).
È ben evidente, quindi, al Concilio una distinzione chiara tra la natura dei laici, le loro funzioni e la natura e le competenze dei fedeli ordinati. Tuttavia, proprio nella loro dimensione peculiare, che è quella secolare, i laici partecipano ad un’opera di apostolato, testimonianza e vita spirituale che viene identificato nella partecipazione, in funzione del battesimo, alle tre dimensioni cristologiche: sacerdotale, profetica e regale. Più precisamente, la LG articola una riflessione sulla partecipazione dei laici alla vita della Chiesa in quanto chiamati al Sacerdozio comune (34), alla funzione profetica del Cristo (35) ed al servizio regale (36) delle quali parleremo nel prossimo articolo nel quale ci occuperemo anche della tensione, che si sviluppa compiutamente nella seconda parte della LG, tra la dimensione storica della chiesa e la sua aspirazione alla completezza della realtà celeste.
Renato Vernini renverni@tin.it
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