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Il commercio a Ciampino visto da Giancarlo Scagnetti – 1/2

Il commercio a Ciampino visto da Giancarlo Scagnetti – 1/2
Gennaio 10
10:27 2012

Contenti Nicola&Figli metà anni '70Dalla costituzione della 3C alla Gran Dé di Franco D’Amico alle Multinazionali

Ciampino era una realtà ancora tutta da inventare, quando improvviso scoppiò il boom. Erano i primi anni sessanta, il paese era costituito da un nucleo centrale – chiesa ed ex collegio del Sacro Cuore, strade ordinate e villette – e una periferia pullulante di vita in espansione. L’illuminazione era poca e riservata solo al centro, e intorno buio pesto e stradicciole sterrate piene di buche. E mentre fiorivano i palazzoni squadrati in mezzo ai campi, il commercio si organizzava e si radicava nel territorio. Fu il commercio a portare le prime luci nei quartieri ignorati dal comune di Marino, di cui Ciampino era frazione, e finché stavano aperti i negozi, con le insegne accese e le vetrine illuminate, la gente poteva circolare invece di rintanarsi insieme alle galline al calar del sole.

Fu il commercio a dare una svolta alla vita sociale, con gli incontri che avvenivano nei vari negozi – che non si chiamarono più botteghe – e si protraevano fuori, nell’alone di luce in cui si formavano capannelli intenti a discutere del più e del meno finché non venivano tirate giù le serrande, una dopo l’altra in perfetta sincronia, sempre oltre l’orario di chiusura. Non fu più un dramma dover uscire la sera per andare a comprare il latte, che allora si vendeva sfuso, per la colazione del giorno dopo, potendo affrontare il percorso tra campi e vigne e cantieri aperti, guidati dalle provvidenziali oasi di luce intorno alle quali si creava movimento. I pionieri del commercio a Ciampino, e particolarmente nella periferia, ricordano tutto ciò con un senso di orgogliosa appartenenza a un categoria che allora mostrò iniziativa e ardimento. Partiti dal nulla, senza fondi e senza esperienza, con una licenza appesa al muro e montagne di rate da pagare, vivevano giorno per giorno la loro bella avventura, proiettati in un futuro fatto di fatica e di soddisfazioni condivise con tutta la famiglia. Senza nessuna tutela e tutto a proprio rischio, ma ciò allora era la norma cui si era abituati; ne sanno qualcosa in più le donne, che affrontavano senza alcuna agevolazione le maternità, da sbrigare praticamente senza lasciare il posto di lavoro.

E ora che il commercio a Ciampino rischia di diventare un capitolo chiuso, bastonato a morte dall’avvento massiccio di centri commerciali attrezzati per farti entrare e consumare fino all’ultimo centesimo di euro per ciò che non ti serve, rispolverare quella pagina di ordinario eroismo non guasta e forse potrebbe aiutare a guardare avanti con più discernimento.

Testimone attivo del breve ma intensissimo sviluppo della piccola impresa a Ciampino Giancarlo Scagnetti, che raccontandosi ci descrive di quel periodo momenti aurei e disinganni.

«Sono nato a Roma nel ’42 e vissuto sempre a Ciampino. Mia madre era titolare della tabaccheria in viale del Lavoro e mio padre, originario delle Marche, nel ’60 aprì un forno. Io ero collaboratore dell’azienda familiare, nel ’76 ne divento titolare e nel ’97 cedo l’attività. Entro giovanissimo nel Sindacato di Marino e dall”80 al ’90 ricopro a Ciampino tutte le cariche, da segretario a presidente, e nel frattempo avevo altri incarichi alla Confcommercio di Roma. Divento responsabile delle associazioni di tutta la provincia e per sei anni porto avanti il mio impegno senza percepire nemmeno il rimborso spese. Smetto di fare attività sindacale con la morte di Franco D’Amico – nell’agosto del 1998 – allora presidente della Confcommercio di Roma. Nel 2004 il segretario generale mi richiama per collaborare come funzionario e vengo assunto come come Co.Co.Pro (Collaborazione Coordinata a Progetto) fino all’aprile del 2011. Poi c’è stata la crisi. Per legge hanno dovuto licenziare circa il 20% del personale fisso e non sono stati rinnovati i contratti provvisori.

La situazione del commercio a Ciampino era stata considerata per tempo. Nel 1984, in previsione dello sviluppo di centri commerciali e ipermercati, io e il povero Paolo Leva, allora presidente dell’Unione Commercianti, chiamiamo tutti i commercianti a partecipare all’avventura per aprire noi stessi un ipermercato (centro vendita al dettaglio con superficie superiore ai 2.500 mt2, nda). All’inizio aderiscono circa 120 aziende; tutta la parte tecnica – lo dico con orgoglio – l’ho curata io come segretario. La futura 3C (Centro Commerciale Ciampino) doveva sorgere in viale Kennedy in uno dei capannoni già esistenti destinati all’industria. Quando ne facemmo richiesta il comune ci disse di no e dopo qualche tempo lo stesso capannone fu dato a una ditta di commercio all’ingrosso, che operava al minuto. E a noi ci impedirono di avere una attività regolare. Però l’amministrazione, allora sindaco Paolo Pierantonio, ci dette la possibilità di acquisire insieme con una cooperativa di abitazioni (in via Bruxelles) la facoltà di costruire – noi sotto e loro sopra – e quindi attivare circa duemila metri di commerciale.

Terminata la costruzione, inizia la costituzione della 3C. Nel ’94 la 3C termina sia la realizzazione dei locali (ci sono voluti otto anni!) sia gli arredi, e ci guardiamo intorno per capire come gestire quanto avevamo creato. Parecchie discussioni, e si decide alla fine, pensando di non essere noi in grado di farlo, di dare in gestione l’attività del supermercato alla Gran Dè (Grande Dettaglio) di Franco D’Amico, già titolare di 8 ipermercati, 20 supermercati e una ottantina di negozi affiliati. Un personaggio d’altri tempi, connubio di correttezza e intraprendenza, che aveva fondato nel dopoguerra la Mercurio di Franco D’Amico e il marchio era diventato leader del mercato del riso nel Lazio accompagnato dal fortunatissimo slogan: Volete un consiglio Franco… D’amico? E poi negli anni ’70 precorre i tempi aprendo il primo Cash e Carry romano.

Franco D’Amico muore – i funerali si svolsero nella chiesa Beata Vergine del Rosario – l’impresa passa alla famiglia, regge per qualche anno e poi finisce.

Riguardo alla 3C, in funzione della morte di D’Amico l’amministrazione decide di cedere le proprie quote. Pagati tutti i debiti, l’azienda era completamente nostra, divisa per quote non paritarie; gestisco io la cessione coadiuvato dai tecnici e anche Maria, l’erede di Franco, si affida ai tecnici e decide di acquisire tutte le quote della 3C. L’azienda ciampinese ceduta a Maria rappresentava circa il 10% del capitale totale della famiglia D’Amico. Noi eravamo proprietari, come azionisti, sia delle mura che dell’azienda. Si decide di cedere tutto perché i tempi diventavano sempre più duri. Avevamo previsto, avevamo lavorato ma non siamo andati in porto. Perché, la cosa è semplicissima, non avevamo i capitali necessari. All’inizio si poteva, dopo dieci anni diventava inefficace perché intanto avevano aperto centri commerciali e ipermercati sul Grande raccordo anulare. Poi, parliamoci chiaro, quando è cominciata l’avventura della 3C avevo 42 anni e la vedevo in una maniera, e andando avanti l’ottica cambia. Non me la sentivo di affrontare una nuova avventura; me l’hanno anche chiesto, ma io non ce la faccio più.

Ormai il commercio non è più la distribuzione delle merci ma investimento dei capitali. E Franco D’Amico è morto proprio dicendo questo: «A quelli che arrivano adesso non gli importa di fare distribuzione ma solo d’investire capitali che altrimenti verrebbero succhiati dalle tasse».

Le multinazionali continuano a investire in una spirale che dove ci porta non si sa. A un certo punto scoppieranno pure loro e metteranno per strada decine di migliaia di persone. In America negli anni ’60 ci fu uno sviluppo pazzesco di ipermercati e di centri commerciali che andavano dalla costa ovest alla costa est, e negli anni ’80 sono andati tutti falliti. E centinaia e centinaia e centinaia di catene commerciali si sono riversate in piccoli spazi, in piccoli negozi; quelli che tu entri e ti dicono: ti vuoi misurare la maglietta? E fra dieci anni succederà pure da noi. (continua)

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