Il colore della libertà
Ho lasciato passare i giorni per poterne parlare con pacatezza, di Roma città aperta, di Mario Balotelli campione del pallone e dell’età tutta ancora da giocare. Di una giornata trascorsa a passeggiare prima della partita, per fare onore alla propria bandiera, naturalmente quella italiana. Un italiano come tanti altri, con il carattere e le passioni che non fanno male ad alcuno, con il proprio diritto a esultare avendo raggiunto una meta importante, un ragazzo tranquillo e speciale, come la speranza che riveste il suo presente che è già diventato futuro, e che appartiene non solo al tifoso, ma a chiunque ne capisca di calcio.
E’ un italiano nero, ma non per l’arrabbiatura, per la pelle fintamente imbronciata, dove il colore si tuffa nelle multiformità dell’ospitalità, che diviene valore nelle realizzazioni possibili, radici profonde di una umanità destinata a raccontarci ancora tanto. Violenza da curva, cultura degli estremi, senza attracco, sembrano queste le scintille che hanno messo il nostro giocatore nazionale sulla graticola dei significati svuotati di forme, di qualità, di estensioni, come se mandare a gambe all’aria la dignità delle parole, dei contenuti, delle esemplarità da mettere in gioco con cuore, fosse diventata la nuova frontiera. I ragazzotti s’avvicinano, come da copione non sono mai scesi dal carro dei simboli illeggibili, dei codici impossibili; il nostro centravanti è all’angolo senza centrocampo a proteggerlo, qualche sostantivo imbevuto di brutti aggettivi, una tirata di orecchi, una mal definita frase fatta: sei un negro di m……..
Il tentativo di sfigurare deliberatamente una realtà bella come lo è questo giocatore, può configurarsi in una rappresentazione di razzismo, di intolleranza? Può un adolescente colpire nel modo meno comprensibile, senza una ideologia d’accatto, una menzogna raccontata malamente, tanto per fare qualcosa di diverso? E’ una manifestazione razzista, un atteggiamento che è diventato stile di vita, quel che è accaduto al nostro campione? Ci si dannerà l’anima a sminuire, a ridimensionare, a ricercare altre puntualizzazioni, affinché risulti una semplice divagazione di qualche stupido in preda ai fumi dell’alcol o di qualche canna, robaccia da stadio, anzi da curva, peggio da estremisti frustrati dall’impopolarità e insuccesso.
Chissà se è davvero così, se non è invece un brodo inculturale che deriva dal fallimento educativo, per cui non si ha il coraggio di risvegliare l’importanza di una alleanza educativa tra tutti coloro che hanno responsabilità non solo sportive, per non consentire di mortificare la libertà altrui. Perché in questa ennesima aggressione al colore della pelle, c’è un tentativo di contraffazione della libertà, che dovrebbe obbligare a mettere mano alla propria pancia, alla propria testa, al proprio cuore, per individuare le lentezze, le illegalità mai bene percepite come tali. Non è stato fatto un buon servizio al nostro campione, neppure a tanti altri giovanissimi che hanno sentito e osservato, ma anche da questo episodio eufemisticamente licenziato come «imbecille», c’è da trarre un avviso importante, ogni storia serve a questo, occorre avere il coraggio della coerenza e la generosità dell’amore perché “le persone che amano, ricordano; non dimenticano, perdonano”.
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