“Il cenacolo a S. Vittore” (I parte)
Ha avuto luogo dal 15 giugno al 15 luglio la mostra “Il cenacolo a San Vittore” presso la Sacrestia del Bramante, Basilica di Santa Maria delle Grazie. L’inaugurazione della mostra è stata preceduta dalla conferenza stampa alla quale il critico d’arte Giorgio Zanchetti ha presentato il progetto “complesso” che ha portato alla realizzazione della mostra grazie alla collaborazione tra il Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Milano – e il Ministero della Giustizia – Dipartimento Amministrazione Penitenziaria -, l’associazione di volontariato “Progetto Casina” e i padri domenicani per la dimensione espositiva. Il progetto “Il Cenacolo a San Vittore” è stato sviluppato, nel biennio 2005-06, da Antonella Ortelli, che lavora nel carcere di San Vittore da oltre 15 anni con l’associazione “Progetto Casina”, da Lorenza Dall’Aglio e Ivana Novani, della Soprintendenza per i Beni Architettonici. Alla conferenza stampa è intervenuto poi Luigi Pagano che ha sottolineato l’importanza di iniziative culturali gratuite come queste in un luogo come il carcere.
Antonella Ortelli ha spiegato come è nata l’idea di fare un tableau vivant de L’Ultima Cena di Leonardo: “Ci siamo accorti che le donne del carcere, osservando la foto del dipinto di Leonardo esposta nella biblioteca del carcere, non rimanevano indifferenti e si soffermavano davanti al capolavoro. Anche se solo poche lo conoscevano, appartenendo a diverse culture”. L’arte dunque unisce: tavola a cui si siedono intorno persone diverse ma unite dalla ricerca forse di una qualche “salvezza”. L’arte si offre morendo nell’istante in cui si crea e l’arte di vivere la propria morte è anche quella di gelare in un gesto la propria emozione, l’emozione che ha suscitato l’opera in riferimento al vissuto personale. È come se le donne abbiano voluto offrire racchiuso in un gesto l’emozione di cui si sono “liberate” restando così immobili. Emozione scelta tra quelle degli apostoli (di stupore e di meraviglia: c’è chi si alza perché non ha percepito le parole, chi si avvicina, chi inorridisce, chi si ritrae, come Giuda Iscariota sentendosi subito chiamato in causa), suscitata dalla frase “uno di voi mi tradirà”. Nessuna di loro ha scelto di rappresentare Giuda. A rappresentarlo è stato Luca Quartana del “Progetto Casina” unico uomo del tableau vivant, che in conferenza stampa ha comunicato ai presenti il suo sentirsi “un privilegiato” nel partecipare al progetto con le donne del carcere, privilegiato in una dimensione in cui l’attenzione all’altro è molto grande, dove il microcosmo dei sentimenti, delle parole, dei gesti è infinito-infinitesimo, dove quella tenerezza (“tenerezza è chiedere a tutti chi vuole il caffè”, scrivono le donne) non è solo necessità ma anche volontà, volontà di sentire che ci siamo, sentendo prima di tutto noi stessi, solo così è possibile entrare in comunicazione con gli altri. Sentire se stessi come parte di un tableau vivant molto più antico del quadro di Leonardo… in questo modo è possibile anche non sentirsi completamente soli-separati quando si esce dal carcere. Il senso di disorientamento che si vive in quel momento, non riconoscendo la realtà, può in qualche modo essere vissuto diversamente dalle donne dopo i laboratori portati avanti nel carcere. Lo testimoniano le parole di Lara che alla conferenza stampa afferma la volontà di “essere frutto” una volta uscita dal carcere, frutto di questi lavori di “scrittura” (le donne hanno composto delle poesie), di disegno, di osservazione e espressione artistica. La parola “frutto” dai molti significati, detta da Lara ci ricorda come vivere sia effettivamente un’arte… (l’arte poi è anche un parto, una stagione della vita in cui si è frutto dopo che si è tenuto qualcosa di estraneo dentro… “dare è fare” scrivono ancora le donne). Le parole di Lara richiamano pure il gesto fatto durante il laboratorio “Il Cenacolo a S. Vittore” di piantare un seme. La pianta che poi è cresciuta si trovava alla mostra. Luca Quartana ha accompagnato quel gesto a delle parole:
[…]
E oggi guardo una pianta da piccola. E sorrido pensando all’altro capo del mondo, dove di quella pianta ce ne sono tantissime, dove ogni pianta ha i suoi frutti, dove ogni frutto ha il suo seme.
E penso che il nostro seme era tutti quei semi e la nostra pianta è tutte le piante. E vi penso.
Vi ho viste che avete preso i gesti, tra i colori della tavola del cenacolo fatta di atti e, perché fossero i vostri li avete messi sulla tavola vostra come dei frutti, e da loro avete tirato fuori delle parole come dei semi. E come da piccole le avete coltivate quelle parole, nel vostro spazio che è chiuso.
Voi come acqua. Voi come terra. Voi sole.
E le parole si sono aperte, e le poesie sono le piante di tutti.
[…]
E avete preso dei gesti, ed ogni gesto è tutti i gesti del mondo.
[…]
Da piccolo vedevo da piccolo e vedevo le persone che erano grandi.
Da grande ho visto da grande le persone che erano uguali.
Adesso, con voi, vedo le persone come da piccole: quando sono già ciò che saranno, come ogni seme dentro la terra.
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